Car­lo Ta­glia, in arte Va­ga­mon­do: dal­la vita on the road all’ “Etna The­ra­py”

Di Francesca Privitera (redazione Sicilian Post) / 21 Gennaio 2019

Dopo la ma­tu­ri­tà in­sie­me a un grup­po di ami­ci sono an­da­to con una Pan­da in An­da­lu­sia. Ho pro­va­to una sen­sa­zio­ne nuo­va di be­nes­se­re e al­lo­ra mi sono chie­sto: per­ché non far­ne il sen­so del­la mia vita?» Ini­zia­no così i 13 anni in giro per il mon­do sen­za ae­rei di Car­lo Ta­glia, in arte Va­ga­mon­do, il to­ri­ne­se clas­se ’85 da 220­mi­la fol­lo­wer su Fa­ce­book e 39­mi­la su In­sta­gram, che viag­gian­do ha vin­to di­pen­den­ze e ma­les­se­ri. E ha pure im­pa­ra­to la sto­ria, ol­tre le lin­gue. Era a Bar­cel­lo­na du­ran­te la re­pres­sio­ne del­la po­li­zia nei con­fron­ti dei ca­ta­la­ni e in Zim­ba­b­we du­ran­te il col­po di sta­to che ro­ve­sciò la dit­ta­tu­ra di Mu­ga­be. La Si­ci­lia, che l’an­no scor­so in oc­ca­sio­ne del­la pre­sen­ta­zio­ne del suo ul­ti­mo li­bro ave­va de­fi­ni­to «Una del­le iso­le più bel­le del mon­do», è il tea­tro del suo ul­ti­mo pro­get­to: Etna The­ra­py. Un cor­so di for­ma­zio­ne che si svol­ge­rà du­ran­te l’ar­co di una set­ti­ma­na di giu­gno nel­la vil­la Fem­mi­na­mor­ta di Car­ru­ba. In­sie­me a lui un bal­le­ri­no co­rea­no e un esper­to di me­di­ta­zio­ne con­di­vi­de­ran­no co­no­scen­ze in di­ver­si set­to­ri di na­tu­ra oli­sti­ca. Le ade­sio­ni, aper­te mar­te­dì, si fer­me­ran­no al rag­giun­gi­men­to di 20 par­te­ci­pan­ti, per un co­sto a per­so­na che si ag­gi­ra sui 500 euro.

33 anni e 73 pae­si: qua­le ti ha la­scia­to il ri­cor­do più for­te? 

«L’In­dia. È uno schiaf­fo mol­to for­te che ti apre gli oc­chi a 360 gra­di sul­le cose che dia­mo per scon­ta­te e ca­pi­sci che i pro­ble­mi sono nel­la no­stra men­te. Poi an­che la Thai­lan­dia, dove ho pra­ti­ca­to me­di­ta­zio­ne con un mo­na­co: aven­do fat­to 8 anni di scuo­la di com­bat­ti­men­to pen­sa­vo fos­se una cosa da fem­mi­nuc­cia. Mi sono do­vu­to ri­cre­de­re: mi ha fat­to guar­da­re den­tro ogni mia abi­tu­di­ne, ogni mio pen­sie­ro e ho pre­so più con­sa­pe­vo­lez­za di me. Ri­cor­do bene l’in­con­tro con gli Him­ba, po­po­la­zio­ni tri­ba­li del Nord del­la Nu­mi­dia: ab­bia­mo bal­la­to at­tor­no a un falò e con i bam­bi­ni ho can­ta­to la co­lon­na so­no­ra del re Leo­ne. La Nu­mi­dia è uno dei po­sti mi­glio­ri da cui ve­de­re il cie­lo: ave­vo dif­fi­col­tà a chiu­de­re gli oc­chi».

Cosa met­ti nel­lo zai­no?

«Un cam­bio, ten­da mo­no­po­sto, sac­co a pelo, sca­to­let­te di cibo, ac­qua e tap­pi per le orec­chie: dor­mo in sta­zio­ne, in pull­man, in ca­me­ra­te con tan­te per­so­ne, in stra­da, dove ca­pi­ta. Ho il son­no leg­ge­ro quin­di per me sono mol­to im­por­tan­ti».

Qual è la dif­fi­col­tà più gran­de che hai in­con­tra­to? 

«La co­mu­ni­ca­zio­ne tra cul­tu­re più fred­de ma so­prat­tut­to la so­li­tu­di­ne, con cui ve­ni­va­no fuo­ri i mo­stri che ave­vo den­tro. Poi dif­fi­col­tà pra­ti­che: truf­fe, ag­gres­sio­ni, ma­fia fi­lip­pi­na in Cam­bo­gia, ma­fia ci­ne­se in Cina e ma­lat­tie, ma non as­su­mo me­di­ci­ne da anni. In In­dia ri­cor­do una cu­ci­na pie­na di rat­ti che cat­tu­ra­vo e li­be­ra­vo nel­le fo­gne; co­bra lun­ghi due me­tri che tro­va­vo sul let­to; le scim­mie che stac­ca­va­no i cavi elet­tri­ci; il pro­prie­ta­rio che vo­le­va più sol­di; i pa­sto­ri che vo­le­va­no il piz­zo. In Afri­ca in­ve­ce è sta­ta dura con­fron­tar­mi con le an­sie che mi ave­va­no tra­smes­so».

C’è pa­ri­tà di ses­si nel viag­gia­re? 

«La don­na può at­trar­re più vio­len­ze ses­sua­li però an­che tan­te don­ne viag­gia­no da sole, so­prat­tut­to del Nord Eu­ro­pa. Io, no­no­stan­te i miei 13 anni di viag­gi, le vio­len­ze peg­gio­ri le ho su­bi­te a To­ri­no, a casa mia. Par­lia­mo di quan­to sia­no pe­ri­co­lo­si il Sud Ame­ri­ca e l’A­fri­ca ma ci di­men­ti­chia­mo del­le cose che ac­ca­do­no a casa no­stra».

È pos­si­bi­le viag­gia­re sen­za sol­di?

«Io ho sem­pre la­vo­ra­to, fa­cen­do una de­ci­na di la­vo­ri di­ver­si in giro per il mon­do: dal­le col­la­bo­ra­zio­ni con tour ope­ra­tor, ai mas­sag­gi thai­lan­de­si. In Sve­zia sta­vo nel­la fo­re­sta, in una co­mu­ni­tà agri­co­la di 20 per­so­ne: cu­ra­vo l’or­to, ta­glia­vo le­gna, or­ga­niz­za­va­mo even­ti e ven­de­va­mo le cose che fa­ce­va­no. Ci sono tan­ti modi di vi­ve­re. Il viag­gio può es­se­re eco­no­mi­co, io spen­do 15 euro al gior­no, spes­so mol­to meno. Tan­ta gen­te mi chie­de come fac­cia, ma per me il lus­so è vi­ve­re in Ita­lia in cit­tà».

C’è qual­cu­no che ti ac­com­pa­gna nei viag­gi?

«No. Ho fat­to mez­zo viag­gio in Cen­tro Ame­ri­ca con Chri­sti­na, la mia com­pa­gna sve­de­se co­no­sciu­ta nel­la co­mu­ni­tà agri­co­la. Ma per me il viag­gio è so­li­ta­rio».

È sta­to dif­fi­ci­le au­to­fi­nan­ziar­ti la pub­bli­ca­zio­ne dei li­bri?

«Non è sta­to fa­ci­le al­l’i­ni­zio, ave­vo 5 in ita­lia­no. Ho de­ci­so di pro­va­re tra­mi­te un sito web e alla fine “Va­ga­mon­do” è sta­to il più ven­du­to del 2016 nel­la ca­te­go­ria viag­gi in Ita­lia. Han­no fat­to se­gui­to “La fab­bri­ca del viag­gio”, “Va­ga­mon­do 2.0” e “Va­ga­mon­do 3.0”. Mon­da­do­ri e Giun­ti mi han­no of­fer­to dei con­trat­ti ma ho ri­fiu­ta­to sia per re­sta­re li­be­ro sia per­ché il 10% del prez­zo di co­per­ti­na per me è un in­sul­to: giro per il mon­do, mi am­ma­lo, ri­schio la vita».

Cosa con­si­glie­re­sti ai ra­gaz­zi che vo­glio­no av­ven­tu­rar­si come hai fat­to tu? 

«Fa­te­lo im­me­dia­ta­men­te, è una straor­di­na­ria espe­rien­za uma­na. Ma è mol­to im­por­tan­te es­se­re po­si­ti­vi. La pau­ra è ve­le­no che ci met­te in pe­ri­co­lo. Quin­di se ve­ra­men­te te­ne­te a qual­cu­no non sca­ri­ca­ta­gli le vo­stre an­sie per­ché non aiu­ta­no, peg­gio­ra­no. Sono ar­ri­va­to in Sud Afri­ca spa­ven­ta­to per le pa­ra­no­ie di ami­ci e pa­ren­ti: qui dopo la mor­te di Nel­son Man­de­la è pe­ri­co­lo­so per un bian­co. Alla fine sono riu­sci­to a non per­met­te­re alla pau­ra di di­la­ga­re, an­che per­ché più che pau­ra di mo­ri­re, ho un al­tro tipo di pau­ra, che è quel­la di non vi­ve­re».

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