Il dibattito lanciato da Baricco
MA TRA POPOLO ED ÉLITE C’È MAI STATO UN PATTO?
Mi piace l’odore dell’Apocalisse al mattino. In questi giorni tutti a dibattere del rapporto (rotto) tra le cosiddette élite e il popolo, lanciato da “La Repubblica” grazie a un articolo di Alessandro Baricco. La tesi dello scrittore è che tra i due elementi si sia rotto un “patto”, quello tra chi, per usare la sua metafora, “porta il pianoforte su per le scale” (il popolo) e chi “il pianoforte lo suona” (le élite). Baricco sostiene che tale patto si fondava su un tacito accordo: “noi popolo concediamo a voi élite alcuni privilegi, ma in cambio voi élite dovete rendere migliore il mondo in cui viviamo”.Ma quando mai. Io sono stato prima aristocratico e poi intellettuale, e vi assicuro che questo bel patto al profumo di acqua di rosa non è mai esistito. In aristocrazia il patto era fondato sulla capacità dei baroni di assoldare soldati, campieri, e sulla necessità dei contadini di non morire di fame: non era un patto, era un ricatto. Nella successiva “democrazia” occidentale la “guerra sociale” si è spostata dal campo “militare” a quello “economico”: e il patto si è fondato sulla capacità economica delle élite e sulla necessità (uguale a prima) del popolo di non morire di fame.Baricco descrive le élite come coloro che svolgono una professione intellettuale (giornalisti, scrittori, architetti, manager) e che “hanno in casa più di cinquecento libri”. Bene, Baricco non ha descritto le élite, ma coloro che lavorano per la élite, che in questo mondo è una sola: quella economica. Editori, costruttori, finanzieri.Se si continua a considerare, come fa baricco, élite quella che fuma la pipa accanto al camino con la giacca di velluto, la sua domanda (“come può reagire l’élite al dilagare del populismo”) è destinata a non avere una risposta decente.Cosa bisogna dunque fare? Innanzitutto, per quanto si pensi possa essere glamour, l’élite intellettuale dovrebbe chiarire (innanzitutto a se stessa) di non essere élite proprio per niente. E quindi scendere in campo. Nel mondo non ci sono posizioni privilegiate destinate a durare per sempre. E’ sempre sangue e campo di battaglia, anche se soltanto a parole, che sono l’arma del futuro e che le élite non sanno più usare volendo campare di rendita.