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LETTERA DI UN INTELLETTUALE A CATANIA IN PROCINTO DI ELEZIONI… MA DI CHI SONO FIGLIOCCIO IO?…

Di ottavio cappellani |

Di chi sono “figlioccio” io? Questo mi sto chiedendo, come intellettuale, all’avvicinarsi delle elezioni di giugno. E’ una domanda che credo di dovermi fare, e che credo di dovermi fare pubblicamente. Insomma: da dove vengo io? Catania, in qualche modo, mi ha influenzato?

Se fossi un metafisico puro, come Luciano Granozzi sospetta (e anche io), se fossi uno Sgalambriano puro (come Sgalambro sospettava, e anche io), me ne fotterei.

Ma la storia è un hobby bellissimo.

No, non la posso dimenticare, una discussione a casa mia, con il mio intellettuale di riferimento, mio padre, parlando di Cioran, nato transilvano, francese di adozione, che mi consigliava di rifiutare qualsiasi forma di “storia”, qualsiasi forma di “politica”, qualsiasi forma di “volontà”. Papà mi disse: “Smettila di essere un vampiro”.

Questa frase, mi ha messo, indubbiamente, con un piede nella storia.

Ed è per questo che oggi, io “devo” chiedermelo, pubblicamente: ma io, da dove vengo?

Vengo senz’altro da Enzo Bianco, d quella stagione in cui Manlio Sgalambro e Franco Battiato si inventarono un’estate catanese nella quale non si sentì, come per miracolo, la necessità di espatriare.

Ma sono anche figlio del festival del cinema di Taormina, dove sono nati i contatti che mi hanno portato a scrivere per la stampa nazionale: un’epoca, per quanto vicina assai lontana, nella quale erano gli “altri” a venire qui, e non “noi” a dovere espatriare per trovare loro.

E andando indietro sono anche figlio di una Catania di destra, quella degli anni Settanta, della fiamma al neon. Ma sono anche figlio della Catania di “Lorenzo”, sarto, il cui atelier era di fronte alla statua di Garibaldi sotto la quale fu trovata una testa decapitata, e che fu vittima, in piazza Grenoble, di un assalto dei “fascisti”.

Sono figlio dunque della reazione di mio padre, da un lato di destra, da un lato vero amico di “Lorenzo”, sarto di mia mamma, le cui mannequin sfilavano a piedi nudi, ed io cinquenne che restavo affascinato da quelle forme libere dalle scarpe e complicate e bellissime.

Sono figlioccio di una Catania strana, di magistrati e avvocati e misture e aggiustamenti e tanto altro che suggerì a mio padre di mandarmi via, lontano da ciò dal quale mio padre voleva prendere le distanze.

Sono figlioccio del Leonardo da Vinci, ma sono figlioccio anche di Pippo Fava, di Palazzolo Acreide, compagno di classe di mio zio Minuzzo, e compagno di giocate a carambole con mio padre, al Club della Stampa.

Sono figlioccio dunque anche del Club della Stampa, di Tony Zermo, della Catania che spesso giocava a carte ma che aveva una passione per il Teatro.

Sono figlioccio di Turi Ferro, e del Musco.

Sono figlioccio della grande amicizia tra Guglielmo Ferro e Marco Vinci.

Sono figlioccio di amicizie esplose.

Sono figlioccio del giudice Foti, della prima moglie, a Vaccarizzo da mia cugina Kyta, e sono figlioccio del secondo matrimonio e delle cene con Fabiola Foti, figlia della seconda moglie, la cartomante.

Sono figlioccio di una Catania pesante come una famiglia disfunzionale, e Catania lo è, altroché se lo è.

Sono figlioccio di tutti, sono figlioccio di Vincenzo Santapaola, mio compagno alle medie, e sono figlioccio di Beppe Montana perché suo fratello montava a cavallo con me.

Sono figlioccio di Mario Ciancio, perché sulle pagine de La Sicilia si sono formati Francesco Merlo e dove scrissero Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Luigi Sturzo, Vitaliano Brancati.

Sono figlioccio di Antonello Piraneo e Pucci Attardi, che hanno fatto di me il giornalista che sono. Sono figlioccio di Alfredo Zermo, che per primo mi disse: “Perché non scrivi su La Sicilia”.

Sono quindi figlioccio di tutti. Figlioccio di questa Catania che oggi non riconosco. Figlioccio di quella Catania che nelle contraddizioni trovava il suo essere al centro di un mediterraneo.

Sono figlioccio del Banacher, ma anche figlioccio del Gilda socialista, quando papà mi mandò fuori per togliermi da una Catania sempre più complessa.

Sono figlioccio di Vittorio Sgarbi, che mi accolse a Roma, e sono figlioccio di Manlio Sgalambro che mi accolse quando rientrai.

Sono figlioccio della sinistra radical chic, sono figlioccio della destra, sono figlioccio del proletariato, che ho conosciuto grazie alla mamma, nata a Porto Empedoche e cresciuta a via Calatafimi, e poi a San Giovanni Li Cuti.

Sono figlioccio di Carmen Consoli, di Mario Venuti, di mio cugino Raffaele Gulisano e degli Uzeda, figlioccio di Nuccio Giuffrida, figlioccio di Collica attraverso Federico Baronello, un grande artista catanese che serviva i drink all’Ambito. Sono figlioccio di Sergio Zinna, di Felicita Platania, di Biagio Guerrera. Sono figlioccio di Salvo Basso.

Sono figlioccio di Aurelio Sapuppo, di Vivina Geraci e di Marika Rejna.

Sono figlioccio di tutti i Paternò, di tutti i Mannino, di tutti i Cultrera, di tutti i Cosentino, di tutti i Sorrentino, di tutti i Grimaldi, di tutti i Savoia, di tutti i Borboni e di tutti i Federiciani.

Sono figlioccio, sono figlioccio, sono figlioccio.

Sono figlioccio di Catania, e no, non posso dire che sarei stato io se questa Catania folle, questa famiglia disfunzionale, fatta di voi con le vostre contraddizioni, di Zaccà e di Barcellona, di Tina Strano e di Ida Carrara, di Micaela Miano e di Roberta Russo, di Gigi Tropea e di Walter Jacopello, di Fortunata De Martinis e di Pippo Raciti, di Luciano Granozzi e pure di Tino Vittorio, sono figlioccio di Bice Cicirata e di Nico, sono figlioccio di Luca Blasi, sono figlioccio tradito di Buttafuoco e di Sottile, sono figlioccio di Leo Gullotta e di Orazio Torrisi (attraverso Valeria Messina, la preferita di mia mamma). Sono figlioccio di una “famiglia”, perché lo siete, lo siete tutti, disfunzionale per eccellenza. Di Mariella Lo Giudice, del meraviglioso Angelo, della sua amicizia per Di Grado, al quale credetti per poi litigarci. Figlioccio di Tuccio Musumeci e di Pippo Pattavina, di Tony Cucchiara, di Natale Zennaro (grande talento restato a Catania per un fratello morto a mare), figlioccio di Salvo La Rosa, figlioccio di Francesco Scimemi, di Fulvio Abbate. Figlioccio di Antonio Presti e di Gianfranco Molino, che mi hanno allevato all’anarchia e all’arte, figlioccio del cero di Pomodoro, della Fiumara, di Librino e di padre Coniglione. Di padre Anselmo che sposò i miei.

Figlioccio, figlioccio, figlioccio.

Sono figlioccio di Catania, di una famiglia disfunzionale ed esplosa, di una famiglia distrutta dall’ego. Di una famiglia che o riuscirà a trovare una sintesi, o dalla quale sarà meglio allontanarsi e fuggire.

Era quello che volevo dirvi.

Sperando di non avervi annoiato.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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