Chiara Lea ha fatto la mostra al Ma, e dove se no. Il titolo è grandioso: Lo Spazio Abitato. Ha Chiara Lea contezza della portata del titolo (da Heidegger al bosone di Higgs)? Non lo sappiamo. Qui ci interessa quello che si vede, non quello che si intuisce. E cosa si vede? Si vede che Chiara Lea ha spazzato via tutta la concorrenza: tutta quella marmellata di fuori sede (lei è di Noto), bartender con aspirazioni artistiche ma senza scadere nell’alternatività assoluta (non si sa mai). In questo Chiara Lea ha vinto. Le sue foto sono perfette: tra l’hipster alternativo e l’interno di design. C’è un gancetto di chiusura di una porta di cartongesso che, fotografato da Chiara Lea, diventa oggetto di libidine: tutti vorrebbero quel gancetto. Essa è un genio del male: mette il uacciuari al servizio del capitalismo, riesce a surfare tra l’ipocrita voglia di alternativo e il borghese più vendibile. E’ un genio del male. Ha un talento innato per ciò che potrebbe vendere in un qualsiasi negocio d’arredamento di design dozzinale (vedi via sant’euplio) spennellando però una qual certa aura di studiatissimo menefreghismo: un’apoteosi di ipocrisia, ossia il sogno di ogni venditore. Chiara Lea è sempre al posto giusto, fotografa gli interni più hipsterosi (o li fa diventare tali grazie al talento), mentre le altre si affannano per farsi largo a Catania senza raggiungerne le vette. E’ solo furba? No, crediamo di no. Perché le abbiamo visto i piedi. Perfetti. Puro oggetto di design. Con quei piedi il talento è conseguente. Così come è conseguente mettersi al servizio del capitale (del Ma, della sua birreria, di un qualsiasi datore di stipendio, ma potrebbe fare di molto meglio e arrivare a vette che neanche Gianluca Vacchi). Eppure un sogno lo abbiamo. Una Chiara Lea davvero underground e marxista. Per adesso è genialmente un oggetto d’arredamento. Il migliore che esiste a Catania.