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CATANIA VINTAGE, LA FEBBRE SOCIAL CHE CELEBRA IL NULLA CHE FU (CON SPRUZZATINA DI ZAUDDITÀ)

Di Ottavio Cappellani |

La notizia di questa domenica è la seguente. “Catania Vintage”, una pagina nata su Facebook appena una decina di giorni fa, ha già più di trentamila iscritti. Praticamente ogni catanese che ha una vita attiva (o passiva) sul social segue questa pagina.La riflessione è la seguente: avrebbe avuto lo stesso successo una pagina, che ne so, “Pescara Vintage”?La risposta è: no.Perché?I catanesi, e il successo strabiliante di queste pagina lo dimostra, hanno un attaccamento al passato che da un lato è invidiabile: ci sono dentro emozioni, ricordi, senso di appartenenza, memoria collettiva, luoghi che fanno parte dell’immaginario di una intera città.Dall’altro lato è detestabile: siamo provinciali all’estremo, una città che nell’insieme “metropolitano” fa circa un milione di persone non può e non deve essere attaccata a locali che sono chiusi vent’anni fa.Ma Catania è sempre stata così: luoghi che identificano le persone. I catanesi non sono persone: sono fatti di ricordi, della stessa sostanza dei sogni. Essi non esistono: la personalità è fatta – ancora – di Timberland, cinture El Charro, vie Monfalcone, sale giochi a uso Vegas, ristoranti come il Tubo o il Fort Apache, divisi ancora tra Empire e Mcintosh, tra monfiani e mammoriani… Una città senza futuro raggomitolata nel suo passato, che si emoziona al ricordo di putìe, chioschi, pomeriggi giovani.Intendiamoci: a chi non scende la lacrimuccia? In questo Catania è speciale: è come se conservasse ancora un legame con la “strada”, come se avesse dentro quella socialità fatta di vespe special e – lo dico, non lo dico, vabbé lo dico – “comitive” (l’ho detto), come se non volesse lasciare andar via quella Catania in cui “uscire” era la maniera di esistere, avere una “tessera” di una discoteca era status sociale e conoscere o addirittura far parte di un “gruppo organizzativo” ti lanciava direttamente nell’olimpo dei vip della mennulata.Lo dico o non lo dico. Vabbé lo dico: era una città razzista, una città fatta di arrampicamento sociale, il locale giusto, la scarpa giusta, il ricordo giusto. Appunto: provinciale.Ci siamo pasciuti in questo nulla di mutuo ricononiscimento e lo facciamo ancora: quelli che vanno al cinema dove fanno le rassegne e proiettano i film strani contro quelli che se ne vanno nei multisala dei centri commerciali. Tipo bande.Eppure “Catania Vintage” fa tenerezza e gioia. Eravamo stupidi, eravamo ingenui. Oggi ne paghiamo le conseguenze. Però andavamo in discoteca e poi in via Napoli.

P.s. Le reazioni a questo articolo, nel gruppo in questione, sono andate da “Mutu cessu” a “t’abballamu nda panza”. Forse non sono provinciali, ma proprio zauddi fotte.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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