Ho accompagnato una mia amica a fare un controllo all’ospedale di Lentini. In attesa che lei completasse la visita, ho fatto un giro nei dintorni con l’auto. Sono finita sulla SP 68, via Valsavoia, meno di un chilometro di bellezza, con i pini marittimi ai lati della strada che formano un corridoio verde in mezzo alla campagna, a sinistra l’Etna innevato, a destra giardini d’aranci. E ci si passa in mezzo, anzi sotto, in una sorta di galleria verde formata dalle chiome altissime dei pini.
Ma la bellezza, dura un secondo. Appena ci si inoltra sul “viale” dei pini si scopre una discarica senza soluzione di continuità. C’è di tutto: copertoni e vasche di Eternit, pezzi di sanitari e materiale di risulta, cassette di plastica e mobili vecchi, materassi, laterizi, sacchi di spazzatura varia. Alla fine del serpente di spazzatura, i pini lasciano spazio ai cipressi e, forse non a caso, visto che da queste parti la natura è morta.
Ogni volta che vedo cose del genere non ce la faccio a tirare dritto e aspettare il prossimo panorama “pulito” per fare una foto. Non ce la faccio. Penso a tutte quelle persone che si sforzano di “vendere” una Sicilia turistica, tutta natura e cultura, penso a chi lavora ogni giorno per promuovere quello che c’è di buono, di bello, di valore. E poi penso a quei turisti – tutti – che mi dicono sempre la stessa cosa: “Sicilia magnifica, ma la spazzatura…”.
Penso al paesaggio, l’unico “petrolio” che abbiamo, continuamente offeso, abbandonato, senza tutela, senza protezione, senza controlli. Tutto questo mentre vedo passare in tv lo spot di Sicily happy island. Stiamo freschi.
Un turista che passa – e ci passa – per quel chilometro o poco meno di spazzatura, cancella tutto quello che ha visto, vissuto e assaggiato durante il suo soggiorno, perché è quella l’immagine che resterà più forte e potente di qualsiasi pietra greca, o di qualsiasi tramonto, nella sua mente. Quella e la nostra capacità di sputare sulla bellezza.