La mafia non può essere un prodotto tipico

Di Redazione / 22 Agosto 2019

La vicenda dei dolci di Taormina chiamati “mafiosi” e “cosa nostra” riapre una vecchia questione sui “ricordini” – mangerecci e non – che fanno l’occhiolino ad un certo modo di vedere la Sicilia. I negozi di souvenir siciliani sono pieni di paccottiglia del genere, dal grembiule con la faccia del Padrino (il film di Coppola), alle statuette porta sale e pepe con ‘u mafiusu e ‘a mafiusa, magliette, portachiavi, magneti etc. etc. Tutta roba che si trova anche su internet. 

Nessuno si scandalizza se vengono esposti e venduti, come se la mafia fosse un brand siciliano. Stessa reazione per i busti di Mussolini ed Hitler che vengono ancora venduti, non a caso, negli stessi negozi di souvenir. Nessuna associazione di commercianti si è mai presa la briga si cancellare dalle loro liste quegli associati che vendono “gadget” del genere, nessun politico e/o amministratore locale-regionale ha mai preso l’iniziativa di vietarne la vendita.

Troppo duro? Incostituzionale? Limite alla libertà di pensiero? Ma che pensiero c’è dietro uno che per vendere un pasticcino lo deve chiamare “cosa nostra”? Forse agli stranieri piace, ma non a noi che, con la mafia, ci conviviamo ogni giorno, non piace a tutti quei siciliani che hanno impresse nella mente le date del 23 maggio e del 19 luglio ’92. 

Rete 100 passi e Addiopizzo, da anni, si battono perché vengano vietati souvenir e gadget del genere. Ma mafiusi, mafiuse, accendini e magliette sono ancora nei negozi, soprattutto nelle città a più alto tasso turistico, come Taormina. Non si tratta di farci sopra una risata, come pensano alcuni commercianti, o di considerarla una trovata ironica. La mafia non può essere un prodotto tipico. Mi piacerebbe invitare tutti quei blogger, foodtraveller, tour operator che si impegnano su fb per mostrare le meraviglie della Sicilia a postare le foto di tutti quei negozi che vendono i souvenir mafiosi, così tanto per prendere le distanze da certe iniziative. 

C’è una legge che condanna l’apologia del fascismo (senza vietare la vendita di gadget e riproduzioni inneggianti al Venten nio). Nel 2017 un nuovo disegno di legge a firma di Emanuele Fiano (Pd) introduceva nel codice penale anche la punizione per chi “attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti (al nazifascismo ndr), ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità”. Quel progetto naufragò – dopo un primo semaforo verde alla Camera – assieme al termine della legislatura.

Su quella scia, perché non pensare ad un disegno di legge per apologia della mafia

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