Ma ci sono ancora panifici che fanno “solo” pane? O meglio, ci sono ancora panifici che fanno bene il pane?
Ormai i panifici sono diventati “trattorie”, sostituendosi a quella fascia intermedia della ristorazione che a Catania generosamente si chiama “gastronomia” ma, nella sostanza, vuole dire tutto e il contrario di tutto.
Nei panifici, al massimo si facevano biscotti e scacciate, oggi pizza secca e pane ai settemila cereali che si paga a peso d’oro e non si sa con quali farine venga fatto. La diversità erano le cipolle infornate che trovavi solo d'estate.
La “briosciona” con lo zucchero che la mamma ti comprava per andare a scuola e che occupava mezza cartella (siamo troppo antichi?) è stata sostituita dai minipanini al latte con gocce di cioccolato o con i wurstel. E fin qui, sempre di prodotto da forno si tratta.
Ma oggi non esiste un panificio che non “cucini” pasta alla norma e carbonara, involtini di carne, immancabili cotolette, verdure grigliate, contorni vari e dolci. Vicino casa mia ce n’è uno che fa anche i gelati. E, ovviamente, hanno messo (abusivamente s'intende) anche dei tavolini fuori per consumare in loco. Ma non farebbero meglio concentrarsi per fare un pane un po’ più di qualità invece di quella gomma che risponde al nome di “pane bianco”?
Si dirà “la crisi ingegna e bisogna darsi da fare per vendere” e che “oggi si consuma meno pane di una volta”, o che “nessuno ha più voglia di cucinare”.
Tutto vero. Ma mi chiedo: tutte queste cucine all’interno dei panifici dove sono? E se ci sono, hanno le autorizzazioni a cucinare davvero di tutto? Che prodotti usano, come li conservano, come li cucinano, con quali accorgimenti, con quali livelli di igiene? Vero è che siamo a Catania e le regole sono un optional, ma qualche domanda su quello che ci mettiamo dentro lo stomaco ce la dobbiamo porre o no?