«Vi racconto chi era mio padre Leonardo Sciascia»

Di Franco Nicastro / 06 Gennaio 2021

PALERMO «Essere la figlia di un padre come Leonardo Sciascia è l’esperienza più bella che possa capitare». Il ricordo di Anna Maria Sciascia è ancora segnato dal dolore e da forte rammarico: «È mancato troppo presto».
Ma che padre è stato il maestro di Racalmuto di cui ricorre il centenario della nascita? Le parole della figlia ne scolpiscono un profilo quasi inedito e proiettano la memoria in una dimensione molto intima e familiare. Era un padre “tradizionale, molto protettivo, pieno di delicatezze».
Anna Maria lo ricorda quando, in cucina all’ora di pranzo, si sceglieva un angolo, poi si alzava e aiutava a sparecchiare. Lo era per stile di vita, ma la presenza di sei donne (la moglie, tre zie, due figlie) finiva per accentuare la sua timidezza. La sua presenza in famiglia si manteneva su un piano di leggerezza. E leggero era anche sulla formazione e sulle letture delle figlie.

«Quella più versata verso lo studio – dice Anna Maria – era mia sorella che anche nei giochi interpretava la parte della maestra. Io ero magari meno interessata e più legata a una dimensione di vita ‘casalingà. Ero più vicina alla condizione della zia Nica, la donna di casa. Mio padre ne teneva conto anche nei suggerimenti delle letture. Federico De Roberto era uno dei suoi autori più apprezzati. E mentre a mia sorella dava da leggere I viceré, a me dava il suo romanzo minore, L’illusione».
Sciascia era un narratore ma anche un curioso testimone di storie locali. La sua fonte principale era il circolo Unione, che descrive nelle Parrocchie di Regalpetra, ma anche le zie lo tenevano informato sulle storie di paese. Lui le riprendeva e a sua volta le narrava come favole al nipotino Fabrizio.

Parlava anche dei suoi romanzi sin dalle prime battute. Ma, ricorda la figlia, «la prima lettrice era mia madre». A lei restava solo un modo per conoscere e apprezzare gli scritti del padre: «Quando non era in casa andavo a leggere quasi furtivamente i suoi fogli. La vivevo come un’intrusione».

La casa era sempre piena di amici: quelli dell’infanzia, come Stefano Vilardo, e quelli del giro culturale che spesso si recavano a trovare Sciascia in contrada Noce dove la famiglia passava l’estate. «Spesso arrivavano – ricorda Anna Maria – senza avvisare. E tutti si fermavano a mangiare. A Francesco Rosi, che stava girando il film ‘Cadaveri eccellentì ispirato al ‘Contestò, venne offerto pesce. Rosi lo trovò freschissimo. Era stato invece preso dal congelatore. Alla Noce venivano anche Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino sempre accompagnato dal fotografo Giuseppe Leone. Parlavano di tutto: di letteratura, di arte, di cinema».

Bufalino era un’amicizia della maturità, nata nell’ambiente della casa editrice Sellerio. Era stato Sciascia a scoprirlo. Con Consolo la conoscenza era più antica. Anna Maria Sciascia la colloca nel 1964. Consolo raggiunse lo scrittore a Caltanissetta. «Doveva essere un incontro breve. E invece finì che Consolo rimase tre giorni a casa nostra. I familiari, che non avevano più sue notizie, lo davano per disperso». A Sciascia quel giovanotto era piaciuto. «Lo trovava fragile, anche se aveva grandi doti letterarie. Finì paternamente per adottarlo».

Uno degli incontri più stimolanti e più curiosi che Anna Maria Sciascia ricordi fu quello con Lino Jannuzzi, allora giornalista dell’Espresso, che arrivò con la moglie e con un monsignore. Quel pranzo fu accompagnato da un’interessante discussione sul cristianesimo. Visto da una prospettiva laica, il tema era presente nelle opere e nelle riflessioni di Sciascia. «Erano i valori – ricorda Anna Maria – a stimolare il rapporto con il cristianesimo. Ma credo che non possa sfuggire comunque un senso di mistero». 

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Pubblicato da:
Redazione
Tag: anna maria sciascia cento anni sciascia cultura leonardo sciascia