Veronica: 30 anni “colpevolissima”. «No, non ci credo»

Di Mario Barresi / 18 Ottobre 2016

Ragusa –  «Veronica, vieni. C’è la sentenza».

Comincia a singhiozzare già alle sei e mezza della sera, quando dalla stanza di sicurezza del tribunale la portano nell’aula al piano terra.La prima a destra. Con le porte chiuse, ma in vetrina rispetto alle decine di telecamere piazzate fuori.Entra il giudice dell’udienza preliminare, Andrea Reale, dopo quattro ore di camera di consiglio.«Visti gli articoli 442, 533, 535 del codice di procedura penale…».Quattrocentoquarantadue, cinquecentotrentatré, cinquecentotrentacinque. Numeri.Che per lei non significano niente.Ma guarda gli occhi del suo avvocato, Franco Villardita, che si chiudono a fessura. Poi un sospiro.

Il giudice, intanto continua a leggere.«… dichiara Panerello Veronica colpevole». Colpevole. Una parola.E il singhiozzo nervoso diventa pianto greve.Colpevole di cosa?Non è innocente. Ma anche nella colpevolezza ci sono tante sfumature.Lei continua a cercare lo sguardo dell’avvocato che da due anni è salito sulle montagne russe delle sue verità mutevoli. Ma in quegli occhi, quasi spiritati, vede il buio.«… colpevole dei reati di omicidio aggravato e di occultamento di cadavere aggravato alla stessa ascritti in rubrica».

Le lacrime diventano un urlo: «No, non ci credo».E per qualche secondo tutto quello che continua a dire il giudice per l’imputata è un bla-bla-bla indistinto.«E, escluse la circostanza aggravante della premeditazione e quella di cui all’articolo 61 numero 4 del codice penale (le sevizie, ndr) in relazione al primo capo d’imputazione, ritenuta la continuazione tra i delitti contestati, computata la diminuente per il rito scelto la condanna…»

Condanna. Un’altra parola.Segue un numero. Un altro numero. Il più atteso.«… alla pena di anni trenta».Trenta. Il più alto possibile.Il pianto diventa ululato. Lacrime asciutte di disperazione.«Io sono innocente, io sono innocente».Ma invece, «in nome del popolo italiano», Veronica è colpevole. Anzi: colpevolissima.Il gup di Ragusa accoglie la richiesta dell’accusa: 30 anni di carcere, dei quali 5 in libertà vigilata. Il massimo di pena possibile, in un processo con rito abbreviato condizionato alla perizia psichiatrica in cui tecnicamente non poteva esserci né la richiesta né la condanna l’ergastolo.

Veronica, oltre che all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, viene condannata anche alla pena accessoria per lei più dolorosa: la «sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale per la durata della pena principale». Una conseguenza logica: per il giudice è stata lei ad ammazzare Loris, tutto può essere fuorché una madre per l’altro figlioletto che vive col padre, Davide Stival, dal 9 dicembre 2014.

L’udienza è finita, andate in pace.

Il pm Marco Rota sfila come un’anguilla silenziosa. Poche sillabe: «Abbiamo la coscienza di avere fatto un buon lavoro. Non c’è soddisfazione per la condanna, ma consapevolezza di avere fatto il nostro dovere». Distante da Ragusa, il capo del suo ufficio è sulla stessa lunghezza d’onda: «Nessuna condanna deve mai fare esultare. È legittima però la soddisfazione per un lavoro correttamente eseguito grazie anche alla grande professionalità e allo spirito di sacrificio degli uomini e delle donne di polizia e carabinieri».

Il volto di Villardita non riesce a nascondere la delusione. «Le sentenze non si commentano, né si criticano. Se non si accettano si appellano. E siccome questa non la condividiamo, perché Veronica Panarello continua a proclamarsi innocente, l’appelleremo appena usciranno le motivazioni». Continua a dirsi certo che la sua assistita non è un’assassina, ma forse la delusione più grande è per l’entità della pena. E magari perché sperava nelle attenuanti generiche, se non nella semi-infermità mentale “modello Franzoni”. «Aspetto le motivazioni – continua a ripetere a microfoni spenti – ma oggi c’è un convitato di pietra: il movente».

Già, il movente. Il pm Rota, nella requisitoria, l’aveva definito «plausibile» con l’ultima confessione di Veronica: «Io e mio suocero eravamo amanti e Loris ci ha scoperti». Ma nel dispositivo di ieri, il gup Reale mette nero su bianco la picconata definitiva alla credibilità dell’imputata: trasmette gli atti del processo al pubblico ministero «per valutare la consumazione del delitto di calunnia da parte dell’imputata nei confronti di Stival Andrea».

Il suocero non è né amante né assassino. Ma riabilitato e commosso.E dunque Veronica oltre a essere colpevole – anzi: colpevolissima – è pure bugiarda. Anzi: bugiardissima.«Non ci credo, non ci posso credere», singulta alla poliziotta che la scorta all’uscita.Ma, stavolta, è tutto vero.

Twitter: @MarioBarresi

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Redazione
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