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Uno studio su Nature: il Mediterraneo è diventato una “zuppa” di microplastiche
ANCONA – Ogni anno vengono prodotti nel mondo più di 300 milioni di tonnellate di plastica ed almeno il 10% di questi materiali finisce negli oceani, dove si degradano molto lentamente e tendono a frammentarsi in minuscole particelle: le microplastiche, con dimensioni inferiori ai 5 mm e spesso invisibili ad occhio nudo, che si sono accumulate nei nostri mari, dai poli all’Equatore, dalla superficie alle profondità abissali. Il Mediterraneo risulta uno dei bacini maggiormente contaminati come emerge da un recente studio pubblicato su Nature/Scientific Reports, frutto della collaborazione tra l’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Lerici (ISMAR-CNR), l’Università Politecnica delle Marche, l’Università del Salento e Algalita Foundation (California).
I quantitativi medi di microplastiche presenti nel mare Adriatico e nel Mediterraneo occidentale sono di circa 500 ed 800 g per kmq. Quantitativi ancora maggiori, circa 2 kg per kmq, sono stati identificati a largo delle coste occidentali della Sardegna, della Sicilia e lungo la costa pugliese, fino ad arrivare ad un hot spot di addirittura 10 kg di microplastiche per kmq nel tratto di mare compreso tra la Corsica e la Toscana.
Lo studio si occupa anche della tipologia dei polimeri: marcata prevalenza di polietilene e polipropilene nel Mediterraneo occidentale e una maggior eterogeneità nell’Adriatico con la presenza di vernici sintetiche e altri composti associati alle attività di pesca. Le ragioni dell’elevata concentrazione di microplastiche in Mediterraneo sono da ricercare nel limitato ricambio d’acqua di questo bacino chiuso ma densamente popolato e sottoposto ad una elevata pressione antropica. Le microplastiche, scambiate per cibo, possono essere ingerite dai più piccoli organismi del plankton, fino ai predatori terminali.
L’Università Politecnica delle Marche ha studiato l’accumulo delle microplastiche negli organismi marini: gli ultimi risultati evidenziano la presenza di microplastiche in almeno il 30% del pescato dell’Adriatico in quantitativi che per altro non rappresentano un pericolo per la salute umana, ma certamente un campanello di allarme per la salute delle varie specie e dell’ecosistema marino.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA