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Un’altra isola da raccontare

Di Antonello Piraneo |

Uffa, la solita Sicilia che non sa mostrarsi se non come buttanissima – per dirla con la penna corrosiva di Pietrangelo Buttafuoco – e che viene raccontata come tale. Uffa, ancora il macchiettismo come escamotage narrativo, utile scorciatoia per restare sulla superficie dei problemi, purtroppo sempre gli stessi, di una terra che non riesce a diventare banalmente normale. Normale nella gestione della cosa pubblica, nell’utilizzo delle risorse che pure arrivano, nell’affrontare le emergenze, per esempio rimettere in piedi un viadotto autostradale, nel ridurre i privilegi di casta e di palazzo. Normale nel rispondere di tutto questo e quindi nella difesa della propria immagine.

Invece la Sicilia, purtroppo, non è una regione normale. Ed ecco che finisce ancora una volta nell’arena televisiva, e senza gladiatori. È accaduto, di nuovo, domenica, perché Massimo Giletti del macchiettismo si sa servire, eccome, per imbastire una trasmissione. E infatti insegue Gianfranco Miccichè sapendo e sperando di farsi mandare a quel paese e trova in Rosario Crocetta, bersaglio e arciere al contempo, un ospite pressocché fisso, quasi un complemento d’arredo. Insieme con il lumbard che alla fine, di fronte a tanta nequizia politico-amministrativa, sbotta «basta dare soldi al Sud», epigono di quel paraleghismo mirabilmente scolpito nel paradigma delle tre P: Pago, Produco, Pretendo.

E dunque uffa. Perché c’è un’altra Sicilia da raccontare, meno scontata, non piagnona e neanche complottista (da Cavour a Giletti, tutti ci vogliono male), non parassita e neanche truffaldina, financo sincera, matura e consapevole quando si specchia nelle proprie colpe. Che sono, more solito, quelle di svilire l’Autonomia, di non accorgersi che i soliti noti a volte ritornano o non sono neanche mai andati via, di appesantire i conti con le spese più estrose e oscure (eppure basterebbe pubblicare i bilanci degli enti pubblici in maniera chiara sui mezzi d’informazione più diffusi: per una questione di trasparenza, non come sussidio surrettizio agli editori) e di non potere così inserire figure professionali incredibilmente ancora assenti nell’ipertrofico esercito di dipendenti.

Uffa. Perché è poi vero che non si può cavalcare il populismo più becero, accostando le spese faraoniche (bentinteso, tali sono) dell’Ars alla necessità di avere una rete di trasporti non più borbonica: non si può parlare della Sicilia senza chiedere conto ad Anas, Rfi e ai più alti interlocutori istituzionali dell’arretratezza infrastrutturale cui i siciliani sono abbandonati. Forse è più rognoso farlo, ma va fatto, prima o poi.

Uffa, uffa, uffa. Un esercito di diversamente siciliani – persone assolutamente normali, loro sì – ambisce soltanto a migliorare qui e non altrove la propria condizione di vita. E chiede di cambiare copione e canovaccio, facendo scendere dal palcoscenico nani e ballerine. È troppo?COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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