Le commesse al ribasso, il totale non rispetto delle regole, le delocalizzazioni, hanno creato nel tempo il crollo di un sistema che oggi ha serie difficoltà a rimanere in piedi. Sono oltre 20 mila gli operatori call-center in Sicilia, ma oltre il 60% di questi ha un contratto a progetto e molti risultano invisibili anche ai sindacati che denunciano continui sfruttamenti di una categoria da sempre considerata dalla maggior parte delle aziende usa e getta.
Nella giungla dei call center ci sono anche piccole aziende che puntano soprattutto all’out bound dove gli operatori devono vendere al telefono pacchetti e tariffe e quindi essere poi risarciti in base ai contratti andati a buon fine.
Un esercito di giovani e non, che ogni giorno prova a guadagnare qualcosa facendo dalle 100 alle 150 telefonate nella speranza di poter trovare qualche utente o azienda disposta ad accettare gli infiniti prodotti disponibili che in molti casi, a parte i cambi tariffa e le infinite promozioni delle grandi compagnie, si rivelano delle vere truffe.
Oltre ai seimila operatori impegnati in Sicilia nei call center della galassia Almaviva, ci sono poi tante storie legate a vertenze andate più o meno a buon fine come i 330 operatori di 4You (la metà di loro adesso lavora per una nuova azienda di nome Abramo con sede in Calabria) e i 262 lavoratori Accenture salvati dal licenziamento dopo una lunga trattativa con Britisch Telecom. Ma la crisi del sistema è sempre dietro l’angolo.
Lo dimostra la vertenza del call center Qè di Paternò con 600 lavoratori lasciati per strada e i 390 operatori di Almaviva che da Palermo dovranno spostarsi in altra sede.
«Oltre diecimila operatori, per lo più giovani ma anche anziani, si ritrovano con contratti a progetto o a provvigioni – spiega Rosalba Vella della Slc Cgil – molti di questi sono invisibili, lavorano per un mese e poi staccano venendo sfruttati dalle centinaia di piccole aziende sparse nel territorio siciliano».
Si tratta di persone in cerca di un lavoro che leggono gli annunci sui giornali e si ritrovano a fare gli operatori per call center titolari di commesse per lo più inerenti la vendita e la promozione «Se riesci a chiudere i contratti – aggiunge la Vella – guadagni. In caso contrario, dopo un mese di lavoro a casa senza stipendio».
Per i sindacati tutto questo è inaccettabile ma evidenzia la mancanza di controlli in un settore che di certo continua a non dare le giuste garanzie.
A determinare la crisi occupazionale del settore è anzitutto la scelta dei committenti di dirottare le lavorazioni in altre società, italiane o straniere, che assumono operatori con stipendi più bassi rispetto a quelli in servizio presso il precedente appaltatore. Tra i committenti, oltre alle grandi compagnie di telecomunicazione, ci sono anche società a partecipazione pubblica. Per i sindacati «occorre fare una precisa scelta politica: o si predispone una normativa ad hoc per la responsabilizzazione del committente, oppure si continua a far finta di nulla, gestendo l’emergenza senza risolverla».