Virginia, guerra civile: la piccola Amelia si aggira in cerca di funghi tra i faggi ed i larici del grande bosco che circonda la magione in cui è rimasta ospite come educanda. Improvvisamente sussulta nel sentire i lamenti di un uomo ferito che chiede aiuto. La ragazzina, ingenuamente, come mai farebbe una giovinetta dei nostri tempi, si ferma, lo ascolta e lo soccorre portandolo in salvo tra le sicure mura del collegio. L’uomo viene circondato dalle donne presenti nell’educandato: oltre all’istitutrice Edwina Dabney, interpretata da Kristen Dunst, ed alla direttrice, Miss Martha interpretata da Nicole Kidman, sono poche allieve con una età compresa tra i dodici e i diciassette anni e sono rimaste a causa della guerra mentre le altre, quelle che hanno potuto farlo, sono ritornate alle loro case d’origine.
Il maniero nel suo sicuro isolamento le accoglie garantendole e riparandole da ogni insidia ma diventando soffocante tempio dove svogliatamente si impara il bon ton ed i verbi della dolce lingua francese, mentre da lontano, ovattato arriva il rombo dei cannoni. L’uomo ferito è un caporale nordista, John McBurney, intepretato da Colin Farrell, quindi della fazione opposta. Pur rappresentando il nemico, viene accudito e rifocillato ma l’avvertimento è preciso: appena sarà in grado di rimettersi bene in salute verrà consegnato come prigioniero alla pattuglie sudiste che periodicamente passano in rassegna le abitazioni sparse nel territorio vigilando sul buon andamento delle cose.
Nel suo ultimo film “L’inganno” Sofia Coppola indugia sul corpo del prigioniero dettagliandone i particolari: sembra il corpo di un Cristo deposto e non ancora morto che viene cucito, lavato pulito e le mani dell’algida direttrice lo toccano con ostinata e silenziosa sensualità, forse approfittando del suo abbandono. La ferita alla gamba è estesa e sporca e lo squarcio viene suturato come meglio si può. Ma è un uomo giovane e si riprende velocemente. La sua presenza turba le donne ed egli, consapevole di ciò, cercherà di volgere in profitto l’essere diventato centro d’interesse per ognuna. Si propone infatti come giardiniere del parco della villa che, a causa della guerra, appare incolto e trascurato. Egli ritiene che il prolungare la sua permanenza in quel luogo possa rappresentare per lui l’unica possibilità di salvezza non rendendosi conto invece che il pericolo per lui è proprio rimanere lì.
La miccia innescata dall’uomo brucia nella competizione e nell’irrazionale voglia di possesso: ognuna si mette in mostra e saltano fuori monili e trine che lasciano scoperti i vellutati omeri. A fronte di tutte le buone maniere apprese, la sensualità troppo sopita ed occultata tra le pesanti gonne fruscianti e le crinoline inamidate non può rassegnarsi alla propria storia e l’istinto femminino come una febbre trasversalmente investe tutte, dalle più piccole alle più mature. La carnalità invade le stanze, circola silenziosa in una astuta guerra non dichiarata tra femmine per un trofeo irrinunciabile che “gioca sporco”, e, proprio per questo, da inspartibile oggetto di desiderio diventerà oggetto di vendetta comune.
Kristen Dunst e Colin Farrell
Sofia Coppola dedica dunque la sua attenzione all’immutabile ed immutato universo femminile ma arriva poco e lascia sospeso il giudizio. Il film si muove lento specie nella prima parte dove ci si aspetta inutilmente che da un momento all’altro accada qualcosa. I riferimenti storici sono poco approfonditi, quasi inesistenti; la trama è debole, forse per dare spazio ad atmosfere ricreate; ricorda molto l’ambientazione di “Picnic ad Hanging Rock ” del regista australiano Peter Weir. In entrambi i film, agli splendidi scorci naturalistici si oppongono cupe ambientazioni di interni dove si agitano microcosmici vivai di allevamento di future donne della buona società le cui maniere apparenti celano dietro il sorriso, il merletto del tovagliolo di lino, pulsioni naturali ed animalità represse.
Sofia Coppola, Nicole Kidman e Colin Farrell a Cannes
La scena finale estremamente significativa vede il feretro del soldato inquadrato davanti la cancellata chiusa del maniero, al di là della quale tutte le donne del collegio dalla più piccola alla più grande stanno immobili come in posa per una foto, lo sguardo fisso di una solidarietà tutta al femminile nelle decisioni prese e negli atti efferati compiuti. Ma è anche la foto del film che si si presenta proprio così: al di là della cancellata! Le emozioni non passano e tutto è estremamente tenuto e controllato. Solo dopo che si esce dalla sala cinematografica, dopo averlo ripensato, e rielaborato nella mente se ne comprende il messaggio. Ma un film deve sedurre anche mentre si visiona, deve impedire di distogliere lo sguardo, di cambiare posizione sulla poltrona, deve dare la sensazione di essere stati dentro la storia e di rimanerne saldati; di avere di questa un ricordo che ci fa stare male o bene e, come quando si ama qualcuno, ritorni alla mente anche quando non vogliamo. “L’inganno” ci riesce poco.