Tusa, la “sua” mostra nel cuore di Roma con la Sicilia nel “pantheon” di Cartagine

Di Carmen Greco / 10 Novembre 2019

ROMA – Chissà come ci rimarrebbe male Catone il censore nello scoprire che Cartagine ha “conquistato” il luogo simbolo della Roma antica. Quel suo “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere distrutta”) passato alla storia, suonerebbe una beffa di fronte alla mostra in corso fra le arcate del Colosseo, nel tempio di Romolo al Foro e all’interno della Rampa di Domiziano sul Palatino (fino al 29 marzo 2020) che celebra lontano, dagli stereotipi, l’immagine di Cartagine, la città fenicia che visse per sette secoli, eterna rivale dell’Urbe.

Un mito del quale conosciamo, infatti, ben poco a parte la storia di Didone/Ellissa la leggendaria regina fondatrice della città suicida per amore (anche se pare non si uccise per l’abbandono di Enea, un’invenzione sembrerebbe degli autori latini ndr). E, andando avanti con le notizie “basic” dei libri di scuola, i famosi elefanti con i quali il generale Annibale attraversò le Alpi nel 218 a.C. o la distruzione della capitale fenicia da parte di Publio Cornelio Scipione Emiliano.

“Carthago” racconta, invece, in oltre quattrocento reperti provenienti dai musei di Cartagine, Tunisi, Palermo, Cagliari, Barcellona, Malta, Beirut, la storia “altra” di una delle più potenti e importanti città del Mediterraneo antico, fondata sulla costa settentrionale dell’Africa, vicino l’odierna Tunisi.

Il percorso, dinamico e mai banale, porta a galla non solo i tormentati rapporti dei cartaginesi con Roma ma, soprattutto la loro civiltà, oltre il fragore delle armi: cosa indossavano, in quali dei credevano, che tipo di artigianato realizzavano, quali sacrifici facevano e perfino cosa mangiavano. Per esempio, dall’esposizione di una semplice “pignatta” prestito del museo Salinas di Palermo, sappiamo che cucinavano la “puls punica” (c’è pure la ricetta dello stesso Catone il censore, nientemeno ndr) una sorta di pappa di cerali, formaggio fresco e uova. Non a caso Plauto definiva i cartaginesi “stirpe di mangiatori di polenta di farro”.

Ad aprire la mostra, il magnifico sarcofago della Sacerdotessa alata, proveniente dal Museo di Cartagine che mette subito le cose in chiaro sul livello della rassegna, che ha scelto come “logo” quattro pendenti in pasta vitrea colorata (provenienti dal Musée National de Carthage in Tunisia) con testa barbata o riccioli, così come usavano i fenici. Ideata dalla direttrice del Parco archeologico del Foro romano, Alfonsina Russo, che l’ha curata con Francesca Guarneri, Paolo Xella, José Ángel Zamora López, Martina Almonte e Federica Rinaldi, la mostra è dedicata all’archeologo Sebastiano Tusa, e allo studioso Paolo Bernardini, entrambi scomparsi, fra i primi ad indagare i rapporti fra i vari popoli del Mediterraneo.

E proprio Tusa, in un video in mostra racconta il ritrovamento dei rostri delle navi (qui visibili dal vivo) della famosa Battaglia delle Egadi del 10 marzo 241 a. C. vinta da Roma contro Amilcare, il padre di Annibale, e momento clou delle guerre puniche (dal nome degli abitanti detti “Poeni”, 264-146 a. C) che sancì la fine della potenza cartaginese. La battaglia è ricostruita con immagini che spiegano le strategie messe in atto dalle flotte rivali, anche con l’aiuto di scene tratte dal film Ben Hur.

Ma al di là della storia di guerra, “Carthago” parla degli scambi commerciali fra le due potenze e delle reciproche influenze culturali, fino alla creazione della provincia romana di Iulia Concordia Carthago, aspetti finora poco conosciuti al grande pubblico, dato che la storia la scrivono i vincitori e Roma l’ha raccontata a modo suo.

Ecco allora la produzione della porpora ricavata dal mollusco “Murex”, l’invenzione dell’alfabeto, le eccezionali manifatture in vetro, o il culto per le dee Demetra e Core, madre e figlia, divinità greche entrate attraverso la Sicilia nel pantheon di Cartagine in virtù del loro legame con la fertilità agraria. Ma anche il “lato oscuro” come i Tofet, santuari sacrificali – qui una stele votiva custodita al Museo Whitaker di Mozia – in cui venivano immolati agli dei anche i bambini.

Geniale, l’installazione multimediale che racchiude il mito di Cartagine nell’arte attraverso i secoli, mostrando come la musica, la pittura, la letteratura, il cinema, i fumetti e perfino i videogiochi, abbiano preso a piene mani dalla storia e dalle leggende legate Cartagine. Tantissime, per esempio, le opere ispirate alla vicenda di Didone, da Flaubert a Salgari, da Tiepolo a Purcell, passando per Berlioz, Goya, Turner, Salieri, Mussorgsky. Creatività e immaginazione, realtà e fantasia concentrate nel moloch del kolossal del cinema muto “Cabiria” del 1914, la divinità-mostro in realtà mai venerata dai cartaginesi, ma qui esposto e superfotografato dai turisti.

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