Nel segno del mito a partire dalla più greca delle città siciliane. Comincia a Siracusa negli anni Novanta l’avventura artistica di Rita Fuoco Salonia, l’attrice ragusana che alla perla aretusea è legata da un doppio filo. Quello della formazione, avvenuta nella scuola dell’Istituto nazionale del dramma antico in una delle stagioni più prestigiose, e quello della professione al seguito di grandi protagonisti della scena internazionale.
Prendendo parte agli storici allestimenti al teatro antico di Siracusa diretti da Alvaro Piccardi, da Luca Ronconi, e da Peter Stein regista di una Medea del 2004 portata in tournée nella città greca di Epidauro, Rita Fuoco Salonia ha attraversato in lungo e in largo il patrimonio simbolico del mito che oggi, da artista matura, considera un imprescindibile punto di partenza per la contemporaneità affetta da una preoccupante deriva morale.
«Nel mito greco c’è l’antidoto per curare una società che sta perdendo di vista l’uomo – spiega l’attrice -. I Greci avevano capito tutto, ogni mito racchiude in forma universale tutte le possibilità dell’esistenza, ci offre la chiave per liberarci dalle passioni insane e ci indica esempi di virtù e di libertà».
Come nello spettacolo Troiane, in cui incarna Ecuba, tratto da Euripide, Seneca e Sartre su drammaturgia e regia del talentuoso Matteo Tarasco – unico regista italiano nominato membro del Lincoln Centre Theatre Directors Lab di New York -, una nuova produzione che debutta stasera al Teatro Garibaldi di Enna per la stagione diretta da Mario Incudine, sabato al Teatro Comunale Massimo di Siracusa e il 5 febbraio al Teatro Margherita di Caltanissetta diretto da Moni Ovadia. «Felice di essere in questo spettacolo – commenta l’attrice -, intanto per il regista, che avevo già visto accanto a Gabriele Lavia in un Edipo a Siracusa. Tarasco è un uomo colto e intelligente, che ai classici riconosce la forza insostituibile di parlare a noi contemporanei. In secondo luogo, perché il progetto è reso possibile da KLab, realtà privata illuminata che crede nell’arte, in collaborazione con il produttore esecutivo Walter Amorelli. Klab è un laboratorio creativo di Enna che svolge attività di “mecenatismo” e crea lavoro in una realtà difficile. In terzo luogo, per la presenza di un cast al femminile con ottime compagne di scena». In scena, infatti, un giovane ma qualificato cast tutto siciliano, e tutto al femminile: Doriana La Fauci (guardia), Aurora Cimino (Cassandra), Giuliana Di Stefano (Andromaca), Clara Ingargiola (Demostea), Grazia Lo Brutto (Polissena).
Dalle prove di “troiane”: da sinistra, Aurora Cimino, Doriana La Fauci, Graziana Lo Brutto
Dalle tenebre della cronaca, quella del conflitto che oppone Troia agli Achei, al luminoso travestimento simbolico di un racconto che non ha mai esaurito la ricchezza dei suoi riverberi sull’attualità, le Troiane affondano la scure sulla più grande delle perversioni umane, la sanguinaria inclinazione alla guerra. «La guerra di Troia nel mito appare un affare di tradimenti, fughe e vendette: recuperare la bella Elena rapita da Paride – aggiunge la Salonia -. La rilettura del regista Tarasco, che attinge anche alla versione moderna di Sartre, rivela l’inquietante contemporaneità del mito: sembra lo scontro attuale della civiltà europea con il “presunto” invasore che viene da Africa e Oriente».
Rita Fuoco Salonia
Una guerra assurda alimentata da protagonisti maschili, in cui le donne sono vittime dei giochi di potere e della barbarie senza tempo: le troiane Andromaca, Cassandra ed Ecuba, pagano le conseguenze di un conflitto che ha seminato morte e distruzione e diventano bottino di guerra di un popolo arrogante che infierisce sui perdenti.
«Il senso della guerra è rimasto invariato nei secoli – commenta la attrice iblea -. Il denaro e il potere muovono gli uomini allo scontro. I greci oggi siamo noi, europei che abbiamo depredato molti popoli extracontinentali e ci lamentiamo pure delle inevitabili conseguenze di questa dominazione indiscriminata».
Il regista Matteo Tarasco
Moglie prolifica di Priamo, re di Troia, la regina Ecuba perde tutto nella guerra, gli averi e gli affetti più cari, mentre è costretta a seguire l’infido Ulisse. «È una donna devastata dal dolore. Per la costruzione del personaggio mi sono ispirata alla tartaruga, alla sua secolare lentezza nella quale è scritta una lunga storia di affanni. Ecuba non è la “piagnona” di un certo cliché interpretativo. Si distingue per la nobile forza dell’animo, l’eroica resistenza e la grande dignità di fronte agli innumerevoli eventi luttuosi».
giovannacaggegi@yahoo.it