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Tornare alle radici a passo di mulo

Di Carmen Greco |

Viaggiano come 150 anni fa. A dorso di mulo sulle trazzere regie, lungo una strada “ideale” che nessun governo ha mai costruito tra Puntasecca, la spiaggia di Montalbano, e Castel di Tusa. Un viaggio antico e modernissimo al tempo stesso tra panorami mozzafiato che, per la prima volta, unisce il Canale di Sicilia e il Tirreno.

Giacomo Mancuso Fuoco di Capizzi, e Mirko Adamo palermitano “naturalizzato” a Motta d’Affermo, si sono messi davanti un’ippovia di 281 km da percorrere in sella ai loro muli, con le pelli di pecora sopra le “vardedde”, le bisacce per le provviste, gli “armiggi” fatti di corde, le ceste di giunchi per le provviste, i “cianciani” d’ottone sui finimenti di lana colorata fatti a mano.

Mirko Adamo e Giacomo Mancuso Fuoco nella tappa di Vizzini in sella ai loro muli

Sono partiti il primo maggio, arriveranno sabato a Castel di Tusa. Lungo il percorso si è aggiunto il terzo mulattiere, Antonio Mancuso. La tabella di marcia, ieri, li ha portati a Nicosia, domani saranno a Mistretta, venerdì incontreranno l’Amministrazione comunale di Motta d’Affermo e i ragazzi delle scuole. Sabato 12 maggio l’arrivo a Castel di Tusa, da Antonio Presti.

Mirko e Giacomo fanno parte di “EcoMulo”, l’associazione presieduta dallo stilista Federico Bruno Price che assieme a Guido Vinci, Antonio Madonia, Emanuele Feltri, organizza ogni anno un viaggio in Sicilia con i muli per parlare – soprattutto ai ragazzi delle scuole – di tradizioni antiche, di turismo rurale, di biodiversità, di ecosostenibilità, di agricoltura innovativa e sana, di rispetto per l’ambiente, di amore per la terra, di cultura popolare.

La bardatura del mulo così come si usava150 anni fa

L’obiettivo è far crescere in Sicilia quella forma di ecoturismo che – a piedi o in mountain bike – privilegia il rapporto con la natura attraversando le strade rupestri. «Ci autofinanziamo, non riceviamo fondi dalla Regione nè da altri enti e non abbiamo l’obiettivo di farne un lavoro. Quello che ci interessa – spiega Adamo – è fare rete tra Associazioni che abbiano interesse per gli stessi temi. Per esempio ci siamo messi d’accordo con i ragazzi della Trasversale sicula (che girano la Sicilia a piedi ndr) i quali si sono messi a riaprire le vecchie vie per i campi con tanto di motosega e decespugliatore. Tutto solo per la passione di riportare in Sicilia il turismo a passo lento. Ogni anno nel nostro viaggio abbiamo un obiettivo, l’anno scorso abbiamo puntato sulla valorizzazione della razza autoctona Cinisara, quest’anno la Modicana». Nessun comune ha mai detto loro di no, nessuna scuola ha mai “rifiutato” una lezione con i muli. Mirko, 38 anni, è musicista nella piccola orchestra Malarazza e ha un’azienda agricola che si occupa di olivicoltura a Motta D’Affermo, Giacomo, 50 anni, è vigilie urbano a contratto del Comune di Capizzi, che abbandona le sue pecore solo per 15 giorni l’anno, giusto il tempo del “viaggio” con i muli.

Si parte sempre nel mese di maggio per poter garantire il foraggio verde agli amatissimi compagni di viaggio. In viaggio i mulattieri ricevono l’ospitalità di contadini e allevatori, alcuni li conoscono già, altri li accolgono per la prima volta. Hanno il telefonino e lo usano ma non più di tanto, giusto per contattare la famiglia o il veterinario Antonio Iraci Fuintino, il medico dei loro muli, pronto a correre in caso di problemi. Dormono nelle masserie e nelle aziende agricole, anche in tenda, quelle rare volte che il maltempo li sorprende. Attraversano campi, trazzere asfaltate e guadano fiumi grazie a Paolina, Carina, Nina e una quarta “mula” senza nome. Tutte figlie di un incrocio tra un papà asino e una mamma cavalla.

«Ci sono ragazzini nelle scuole che non hanno mai visto un mulo – dice Giacomo Mancuso Fuoco – eppure il mulo è stato per intere generazioni un animale fondamentale per i contadini. Chi aveva un mulo era ricco: serviva in campagna e per trasportare i prodotti della terra. Il mulo era tutto, quando ne moriva uno era lutto di famiglia».

I finimenti antichi realizzati in lana cardata a mano

«Abbiamo portato nelle scuole le tradizioni antiche – racconta Adamo – facciamo vedere ai bambini come si camminava a dorso di mulo un secolo fa, quali erano le tecniche per cavalcarli, non esisteva plastica o nylon all’interno delle bardature, era fatto tutto a mano, con canapa, cuoio, pelli naturali, lana. Quando raccontiamo queste cose i bambini, i ragazzi sono attentissimi, anche più degli adulti, è incredibile quanto il contatto con un animale come il mulo possa essere immediato».

Al di là del messaggio culturale il viaggio “lento” diventa anche esperienza personale, un “continuum” con le vite di padri e nonni, nel segno di quella cultura contadina che oggi riemerge e si moltiplica con internet e sui social. Il rischio è che il ritorno alla terra sia oggi più una moda che una vera consapevolezza. «Ci rendiamo conto che possa diventare anche una moda – ammette Adamo – ma questa considerazione riguarda quella fascia di élite che, per esempio, si può permettere di pagare di più i prodotti biologici. Secondo noi il biologico dovrebbe essere accessibile a tutti, costare di meno e soppiantare del tutto l’agricoltura tradizionale fatta con la chimica. Abbiamo già fatto troppi danni a questo pianeta».

«Vede questo sonaglio? Non so quanti anni abbia, era già di mio nonno. La maglia che ho sotto la camicia è fatta di lana cardata a mano da una mia zia. Tutto questo per me è vita e salute – confida Mancuso Fuoco -. Mi piace tantissimo la natura, vivere all’aria aperta, la magnanimità delle persone che ci ospitano e ci favoriscono un pasto caldo. La cosa più bella è che tanti, quando ci vedono, si commuovono. Un vecchio contadino originario di Monterosso Almo che ci ha visto per strada ha piantato una frenata con la macchina e ci ha voluto per forza offrire una birra. Tanu ‘u Pipi si chiama. Con le lacrime agli occhi ci ha raccontato di suo padre, della sua famiglia, era commosso e, devo dire, anch’io. Mi sono reso conto che grazie a noi aveva fatto un tuffo nel suo passato».

L’incontro degli ecomuli con bambini e genitori accolti dall’allevatore Giuseppe Grasso

Per organizzare il viaggio il primo passo è stato studiare il percorso sulle cartine dell’Istituto geografico militare, prediligendo le vecchie trazzere regie. I transumanti le utilizzano ancora ma, il più delle volte, sono maltenute o, peggio, asfaltate o “chiuse” con il filo spinato. Quando le trovano così, i “cavalieri” di EcoMulo non esitano comunque a farsi strada. «Le trazzere regie appartengono alla Regione o, meglio, a tutti – spiega Adamo – per questo quando ne troviamo una chiusa prendiamo le tenaglie e proseguiamo. Altro problema le discariche. Purtroppo le abbiamo trovate anche in mezzo alla campagna, fatte da gente che non ha ancora capito che il mondo è casa sua, ma per il resto è un’esperienza incredibile. Gli insegnamenti sono tanti, i percorsi sono anche difficili, ma la natura, di mattina è veramente incredibile. Quello che ti rende felice è proprio vivere questo contatto tra natura e animale».

Il mulo “Paolina”omaggio a Paolo Borsellino

I viaggi di EcoMulo sin dall’inizio, hanno sempre avuto una forte valenza simbolica legata al territorio. A cominciare dal primo, ideato da Federico Bruno, in groppa al mulo Socrate. Partito il primo maggio 2011 da “Casa Memoria Impastato a Cinisi”, arrivò a Piana degli Albanesi per incontrare l’ultimo superstite della strage di Portella delle Ginestre del primo maggio 1947, Mario Nicosia. Prendendolo con sè a dorso di mulo, lo riportò fino a Piana delle Ginestre rifacendo lo stesso viaggio che Mario aveva compiuto da ragazzino 64 anni prima. Poi, da Piana delle Ginestre, si spostò attraverso le campagne fino a Palazzo Adriano, il paese di origine di suo padre, per ritornare a Cinisi il 9 maggio, nel giorno della ricorrenza dell’assassinio di Peppino Impastato. L’anno successivo il viaggio ebbe come destinazione Roma. «Siamo partiti il primo maggio del 2012 da Portella della Ginestra per arrivare a Roma il 13 luglio – ricorda Mirko Adamo -. All’epoca il nostro messaggio era seguire i “tratturi” (così si chiamano le trazzere oltre lo Stretto ndr) che portavano alla Terra Santa. Il progetto era basato sulla legalità nelle campagne e così siamo partiti con due muli che si chiamavano Giovanni e Paolina, in omaggio a Falcone e Borsellino. Abbiamo pensato che entrambi erano testardi come muli…».

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