Telemaco in cerca di Ulisse

Di Domenico Tempio / 13 Luglio 2014

E’ suggestiva la comparazione di Matteo Renzi tra nuova generazione e Telemaco. Per noi che viviamo in un’isola, pur non essendo la piccola Itaca, è senz’altro stuzzicante. Potrebbe mettere alla prova l’orgoglio dei giovani di casa nostra per rispondere al ricorrente interrogativo di dove va la Sicilia. Se abbiamo tanti Telemaco, manca, forse, un Ulisse. Renzi, del quale apprezziamo la forza d’animo unita a una sicurezza da rasentare talvolta la sfrontatezza, Ulisse, in verità, lo ha lasciato in un cantuccio, perché altrimenti lo avrebbe dovuto includere nella sua lista dei rottamati. Ulisse, naturalmente, non potrebbe mai avere le sembianze di un D’Alema, il politico per eccellenza, semmai quelle di un combattente capace di far fuori i Proci dei quali l’isola è in ostaggio. Guardandoci attorno, però, è difficile oggi intravedere da noi l’eroe di Omero. Per cui ai giovani resta il dilemma: muoversi da soli, oppure aspettare che qualcuno appaia all’orizzonte. Il siciliano, fatalista per certi versi, ottimista per altri, rimane così in bilico tra rassegnazione e ribellione.
Tornare sul ritornello di una Isola alla deriva, sembra ormai fiato sprecato. Sino adesso la Regione è stata un ostacolo non un incentivo. Ha persino rischiato di perdere l’aureola dello Statuto speciale e ben le sarebbe stato. Tra l’altro, sostengono alcuni economisti, poteva essere risparmiato qualche miliardo. Ogni settimana in Sicilia succede il finimondo: il ponte che crolla; lo scandalo degli sprechi negli acquisti della Regione; commissari che vanno e vengono nella sanità; i boschi in fiamme senza Canadair, col sospetto che siano alcuni forestali delusi; la cultura ridotta al lumicino; il lavoro, denominatore comune dei nostri mali, in procinto di perdere uno dei suoi ultimi presìdi industriali, quello di Gela. Lì, dove la disoccupazione rischia di alimentare un’area già inquinata dalla criminalità.
Renzi e Crocetta indicano nel lavoro il primo dei grandi problemi, ed è vero. Ma sono solo parole. Gli unici segnali sono quelli di una pilatesca fuga dalla Sicilia: ieri la Fiat oggi l’Eni, due colossi internazionali.
C’è da temere che anche quelle poche industrie in mano a società straniere prendano il largo. Da noi non funzionano neanche gli incentivi per assumere i giovani. Ed era prevedibile. Quale imprenditore si mette a carico, pur se detassato, altro personale se il mercato non risponde? Aumentare la produzione?
Per cosa, se non vendi? Il rischio, anzi, è quello di abbassare definitivamente la saracinesca.
C’è un altro capitolo, a proposito del discorso sui Telemaco di casa nostra: la scuola. Gli ultimi dati dicono che la Sicilia nella performance degli studenti è fanalino di coda. L’unico segnale positivo arriva dai ragazzi delle elementari, il cui divario con il Nord si accorcia. Nelle Medie e nelle Superiori purtroppo la forbice è sempre larga, con un distacco di circa 20 punti. Altro dato allarmante riguarda le università siciliane. In una graduatoria nazionale voluta dall’Europa non godono di prestigio. Catania e Palermo sono rispettivamente al 25° e al 31° posto. Le due università pubbliche vengono superate da quella privata, il giovane ateneo ennese è al 15° posto.
Ciò significa che bisogna riformare scuola e università.
A un insegnamento precario, fa seguito una poca sinergia tra docenti, studenti e istituzioni. I giovani abbandonati a se stessi, in una desertificazione socio-economica sempre più vasta, vanno ad aumentare l’albo dei disoccupati. I test per iscriversi alle facoltà non sono per nulla indicativi per procedere a una seria selezione. Spesso danno indicazioni sbagliate. Il ruolo dei genitori non è facile nella società in cui viviamo. Alcuni, in verità, si arrendono facilmente davanti ai sacrifici, complice la miseria che c’è in molte famiglie. Frequentare l’Università ha un costo, mandare fuori, persino all’estero, non è nelle possibilità di tutti. E poi c’è chi per campare ha necessità di far lavorare il proprio figlio, anche se minorenne. In nero, naturalmente.
Allora, ci arrendiamo? Ci ha colpito in questi giorni una frase lasciata come testamento dallo scomparso Giorgio Faletti: «Ho sempre sostituito la paura di non farcela con la speranza di farcela di nuovo». Anche quando si è con le spalle al muro bisogna sempre pensare di farcela. Perché potrebbe arrivare il giorno che Ulisse troverà l’isola giusta dove approdare. In quel caso si vedrà di che stoffa sono fatti i Telemaco della nuova generazione. Perché, altrimenti, Ulisse potrebbe fare rotta verso un’altra Isola.

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Redazione
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