Strage di Lampedusa, orrore senza fine
Strage di Lampedusa, orrore senza fine Sul barcone anche torture e stupri di gruppo
Nove fermi in tutt’Italia per i 366 morti del 3 ottobre scorso
PALERMO – Cinque persone in manette, altre quattro ricercate. A nove mesi dalla più grave strage di migranti del secolo, quella in cui a Lampedusa morirono 366 extracomunitari, le autorità italiane riescono ad assicurare alla giustizia i primi presunti responsabili. Non è stato un lavoro facile quello degli investigatori che nell’ambito dell’operazione Glauco hanno dovuto indagare su una gigantesca organizzazione di trafficanti di essere umani che opera tra l’Africa e l’Europa con intercettazioni, pedinamenti, rogatorie e speciali tecniche d’indagine. E alla fine sono venuti a galla nuovi orrori, dopo quelli dei morti annegati nella stiva del peschereccio affondanto a pochi metri dalle coste lampedusane. Personale del Servizio centrale operativo e delle squadre mobili di Palermo ed Agrigento ha eseguito 9 decreti di fermo e notificato 5 informazioni di garanzia nelle province di Agrigento, Catania, Milano, Roma e Torino. Altre quattro sarebbero ricercate. Due indagati sono in Africa, uno in Svezia e il quarto a Roma. Sono state svolte diverse perquisizioni e gli investigatori hanno sequestrato denaro in contante e documenti su trasferimento di soldi attraverso money transfer. Le cellule eritree in Italia Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi vi sono un cittadino etiope e uno cittadino sudanese, ritenuti, da tempo, tra i più pericolosi e importanti trafficanti di migranti. In particolare, è emerso che quest’ ultimo aveva il ruolo di raccogliere a Khartoum (Sudan), una consistente parte di migranti che venivano trasferiti, spesso con modalità vessatorie, a Tripoli (Libia), dove l’altro, dopo averli tenuti “segregati” in diverse abitazioni, di cui ha la disponibilità, li faceva imbarcare su natanti fatiscenti diretti verso le coste siciliane. Le investigazioni hanno consentito – dice la polizia di Stato – d’individuare «una cellula della medesima associazione criminale, composta da cittadini eritrei operanti in Italia, in particolare nelle province di Agrigento e Roma, che favoriva la permanenza illegale di migranti clandestini sul territorio nazionale e ne agevolava il successivo espatrio, sempre illegalmente, verso altri Paesi dell’Unione Europea, in particolare Norvegia e Germania, o del continente americano, tra tutti il Canada». Gli indagati John Mahray, Ermias Ghermay, Nuredin Atta Wehabrebi e Samuel sarebbero i capi dell’organizzazione di trafficanti di esseri umani nelle rispettive zone di operatività e a loro viene contestata l’aggravante di “scorrere in armi nelle pubbliche vie, in particolare nelle varie località del continente africano Fatti commessi all’estero (Eritrea, Sudan, Libia, Israele ed altre località del continente africano ed in Svezia, Germania, Norvegia, Olanda, Francia, Austria, Australia e Canada) ed in Italia (Lampedusa, Agrigento, Roma, Mineo, Caltagirone ed altre località del territorio nazionale). Le tariffe L’operazione “Glauco” sta svelando i tratti del grande business dei migranti. Per realizzare il massimo profitto i trafficanti riempiono i barconi all’inverosimile tralasciando qualsiasi misura di sicurezza. Le tariffe per ogni passeggero variano da caso a caso ma in media superano i mille dollari. A conti fatti, gli investigatori calcolano che ogni barcone può fruttare una cifra che sfiora il milione di euro. La grande quantità di denaro messa in movimento alimenta un’organizzazione ramificata e perfetta dei viaggi della speranza. Il sistema, dicono gli inquirenti, è così in grado di offrire un servizio completo. Comprende il reclutamento, il trasferimento e la custodia dei passeggeri ma anche l’offerta del “sogno” di raggiungere un paese nel quale costruire il proprio futuro. Le indagini hanno consentito di ricostruire le rotte e le tappe intermedie (caratterizzate spesso da stupri di massa e segregazioni) di quello e di numerosi altri terribili viaggi della speranza compiuti da centinaia di migranti, spinti e sfruttati durante le peregrinazioni, dai componenti di un pericoloso network malavitoso transnazionale, composto da soggetti eritrei, etiopi e sudanesi. Le indagini hanno fatto scoprire agli investigatori «continue violenze fisiche e reiterate torture che hanno subito numerosi migranti, nonché i ripetuti stupri, anche di gruppo, cui sono state sottoposte diverse donne». LE INTERCETTAZIONI “L’ha voluto Allah”. «Inshallah! Così ha voluto Allah». È il commento che i trafficanti di esseri umani facevano sulla strage. Nessuna parola di pietà per le 366 vittime. La conversazione fa parte delle oltre tremila intercettazioni compiute dopo il tragico naufragio. Ne esce il quadro agghiacciante di un’attività svolta senza scrupoli da gente che considera il traffico di uomini alla stregua di un lavoro redditizio e sicuro. Tanto che uno di loro dice di non volere lasciare la Sicilia perché «per me l’America è qui». Il contenuto dell’intercettazione è stato riferito dai magistrati di Palermo che coordinano l’operazione «Glauco». “Tanti in bocca ai pesci”. «Solo questo suo viaggio ha avuto un‘importanza mediatica elevata. Tante altre persone sono partite, con altri organizzatori, non arrivando mai a destinazione diventando cibo per pesci e nessuno ne ha mai parlato». Lo dice al telefono Ermies Ghermaye a John Mahray entrambi indagati nell‘inchiesta. GLI STUPRI «Risulta accertato – scrivono i pm – che un gruppo di centinaia di migranti Eritrei, alcuni dei quali sono poi sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre 2013, erano stati rapiti, torturati – le donne stuprate ed alcune uccise – e tenuti in stato di prigionia a pane e acqua fino a quando i loro parenti non avrebbero pagato il riscatto per la loro liberazione e da lì trasferiti in Libia e consegnati al gruppo capeggiato da Ermias Ghermay per effettuare la traversata fino in Sicilia in cui molti di loro perdevano la vita». LE FUGHE DAI CENTRI L’organizzazione criminale organizzava anche fughe dai centri di accoglienza e spostamenti in varie città dei migranti. «Nel corso delle investigazioni sulle attività del gruppo svolte a Roma – scrivono – emergeva anche che i soggetti indagati si avvalevano anche dell’uso di furgoni presi a noleggio, in alcuni casi per portare i migranti in Germania con la collaborazione di un autista italiano». I FALSI MATRIMONI Si combinavano anche falsi matrimoni all’estero per organizzare ingressi “legali” in Italia con il sistema del ricongiungimento familiare. Questo filone di attività ha portato gli investigatori sulle tracce di una “cellula” agrigentina dell’organizzazione. Rivelatrici sono le conversazioni intercettate tra due degli indagati eritrei, Nuredim Atta Wehabrebi e Shamshedin Abkadt. Per i matrimoni di comodo i trafficanti erano disposti a pagare a falsi sposi italiani o stranieri residenti in Italia fino a 7.500 euro. Nessuna preoccupazione per le conseguenze: il matrimonio non sarebbe stato trascritto nei registri dello stato civile dei comuni ma solo nei documenti delle ambasciate italiane.