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Sicilia, il futuro dipende (anche) da noi
Dov’è il futuro? Magari fosse davvero appena oltre un foglio di calendario, un po’ più a destra sulla schermata dello smartphone. Invece è tutto da costruire, di nuovo e ancora, tra opere più o meno grandi – la Rg-Ct, certo, ma anche una Pa-Ct meno accidentata e collegamenti ferroviari da non far sorridere chi viaggia abitualmente sull’alta velocità – e infrastrutture immateriali, le più importanti: la fiducia, l’impegno, la cultura della legalità.
Un dubbio: e se porzioni importanti di orizzonti e prospettive ce le fossimo lasciate più e più volte alle spalle, come fiori di campo non colti, come un treno che passa senza che si riesca a salirci? Chissà. Intanto finisce un anno e i buoni propositi s’affollano con le recriminazioni, le maledizioni: avremmo voluto e non abbiamo potuto. Balle. In realtà le maglie nere che noi siciliani continuiamo a collezionare devono farci interrogare, impongono una riflessione che vada al di là del fatalismo, dello scaricabarile, del destino cinico e baro che ci affossa. Perché spesso i primi responsabili dello sfascio su cui ci siamo affacciati anche in questo 2019 siamo noi stessi: “spetti” nell’accezione più negativa del concetto di furbizia, indulgenti con la nostra indolenza e con la nostra incapacità di andare oltre la comoda scorciatoia del compromesso, implacabili nell’accusare sempre qualcun altro, fosse pure il politico che hai votato e che forse voterai di nuovo, una seconda e una terza volta, balbettando una improbabile motivazione ideologica per nascondere il peccato originale della scelta di convenienza.
Eccoci, allora, al bivio coincidente con l’anno che se ne va. La sensazione, sgradevole, è di avere bruciato altro tempo, noi italiani che non potremmo perdere neanche un nanosecondo di fronte al mondo che corre e che cambia. Arranchiamo con governi improvvisati, maggioranze mutevoli e comunque precarie. Dilapidiamo pure quel tesoro di umanità, solidarietà e accoglienza che ci ha reso Belpaese al di là delle bellezze naturali e dei lasciti storico-architettonici: non è un bel Paese quello in cui, per esempio, una persona sopravvissuta ai lager nazisti debba essere accompagnata da una scorta armata. Un ossimoro, una bestemmia.
La Sicilia è parte, eccome, di questo panorama fosco. Partendo da condizioni di disagio che attengono all’irrisolta e mai del tutto compresa questione meridionale, l’Isola paga due volte lo scenario di crisi, non solo economica, che accompagna questi tempi. E che qui più che altrove crea spaesamento, sfiducia. Le promesse roboanti sono vissute come tali – minchiate, al netto di tutto – perché dettate dal momento e non scaturite da un progetto serio, da una visione.
Proprio la visione di futuro è quella che deve accompagnarci. Tutti, ciascuno per il proprio sentire e il proprio vissuto, possiamo contribuire a tratteggiarla. Per andare oltre la retorica della “fuga dei cervelli” – che ormai è fuga e basta – e investire nel coraggio di chi prova a restare, per ricordarci che viviamo in una terra davvero già bellissima, se si sceglie di amarla anche così com’è, con le pezze al sedere e con gli stessi servizi di un mondo fa.
Il futuro, in fondo, può essere là dove si vuole che sia. Forse persino sotto casa. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA