Uscita il 13 gennaio
Sergio Beercock, un mondo a colori
Wollow è una raccolta di gemme folk minimali in uscita il 13 gennaio per la 800A Records di Palermo. Il titolo, senza un vero significato, è ispirato da un quadro del padre dove un turbinio cromatico inghiotte un gorgo nero. Il video di Battle for attention è stato girato nelle grotte di Janniscuru a Enna
Wollow è parola che non c’è, eppure esiste e racconta. È la parola di Sergio Beercok, che oscilla tra più emozioni e suoni, il titolo del suo album di esordio, in uscita il 13 gennaio, prodotto dall’etichetta palermitana 800A Records (i diritti d’autore sono depositati sotto Soundreef), ed è anche un quadro, dipinto da suo padre, Steven, che del suo album è la copertina. «Sono sempre tentato di dire cosa secondo me rappresenta il quadro di mio padre. E sempre mi trattengo. Mi verrebbe di dire che si tratta di una cosa solida. In tanti mi hanno detto che si tratta di un elemento naturale; altri ancora che se ne sentivano in qualche modo guardati. Per questa capacità di significare tante cose, posso dire che questa immagine (un enorme olio su legno) è inequivocabilmente Wollow. Questa versione del quadro è recente. Mio padre aveva distrutto la versione originaria del quadro, quel gorgo nero in mezzo ai colori lo angosciava. In quel gorgo nero avevo trovato il cuore del dipinto, e ho costretto mio padre a rifare il quadro, come se avesse distrutto un mio ritratto. Questa è la quarta versione, quanto più vicina all’originale. Ma il Wollow di quei colori non è andato via, e questa ne è la dimostrazione».
Sergio Beercock è nato a Kingston Upon Hull in Inghilterra nel 1990 da madre siciliana dell’Ennese e padre inglese. Un po’ cantante, un po’ attore, ma essenzialmente autore. Un modo di esistere che in bilico tra fantasia e libertà che non è anarchia, ma fecondità continua. «Ho iniziato a scrivere a 15 anni sapendo di volerlo fare, di avere il desidero di essere letto o visto in teatro. Tutto parte dalla scrittura. Musica e teatro sono canali in cui spingo quelle che sono le mie “urgenze”, quelle fuori e quelle dentro. Mi piace che la gente si senta un po’ spiazzata quando mi trova a fare una cosa e poi mi ritrova in altro. Sono quello che sono in quel momento. Non sono cosa faccio, sono cosa faccio oggi».
In questo esordio discografico ci sono le tue fondamenta, i borghi dello Yorkshire ma c’è anche Enna. «Sono andato via un anno e mezzo fa per questioni di lavoro, gran parte dei miei maestri sono di Palermo ed in Sicilia, è lì che in questo momento c’è il fermento maggiore. Da Enna, per la sua centralità ho potuto toccare le tre punte del teatro siciliano. E’ una città che ha fame di teatro, fatto di cui discutevo con un altro attore ennese, Rocco Rizzo e non è un caso se tanti attori emergenti vengono proprio da lì. Lì ho iniziato a volere raccontare, da bambino lo facevo disegnando, adesso scrivendo. Ho iniziato a recitare con i laboratori teatrali della Compagnia dell’Arpa, poi ho fondato la Bottega di Mastro Porpora con Noa Di Venti, con cui abbiamo realizzato spettacoli su miei testi e creato nostri laboratori teatrali in cui la formazione è bidirezionale:io imparo facendo imparare. Il principio non è quello di insegnare, ma mettere a disposizione degli altri quello che si sa. Un approccio che viene dai miei genitori, entrambi insegnanti».
Tuoi brani sono stati scelti anche da Giuseppe Cutino, uno dei registi teatrali siciliani più interessanti del teatro contemporaneo.«Sì, è stato un incontro abbastanza casuale, ha sentito dei miei pezzi e li ha trovati interessanti e ne ho composti di nuovi per il suo ultimo lavoro Lingua di cane che ha aperto la stagione teatrale al Garibaldi di Enna». La drammaturgia è essenziale nel tuo percorso artistico, come la coniughi con i tuoi set live?«Dialogo con il pubblico, spiego i pezzi, per mettere nelle condizioni di percepire almeno il mood, lo spirito del brano. Anche questa è drammaturgia… condivisa».
Tim Buckley, Nina Simone, Pedro Aznar e Bert Jansch sono i primi riferimenti a cui si pensa ascoltando il disco. Gemme folk minimali come Reason, Pennies o Battle For Attention convivono con brani più direttamente collegati alla tradizione inglese come The Barley And The Rye o Century, passando per le atmosfere nordiche di Naked e Beauty Of The Dirt e quelle più sudamericane di An Exaggerated Song, Jester e Silencio.
Battle For Attention, realizzato da Fabio Leone, Antonella Barbera e da te è il brano che anticipa con un video clip l’album.«L’idea è nata per gioco nel 2012, quando Fabio Leone ha digitalizzato, dopo averle raccolte da varie parti del mondo, scatoloni di pellicole super8, che persone sconosciute – ci siamo sempre chiesti il perché – davano via: pellicole contenenti riprese di eventi familiari, giochi di bambini, piccole rappresentazioni teatrali amatoriali, persino i primi piani dei ragazzi di un orfanotrofio argentino. Dopo averle archiviate, Antonella Barbera mi ha chiesto di proporle un brano che potesse avere lo stesso colore e la stessa grana di quelle pellicole. Avevo già scritto Battle For Attention, ma l’associazione con quelle immagini sebbene successiva mi ha raggiunto immediatamente. Antonella, suggestionata dalla musica ha montato un video da brividi, e sembrava che il brano fosse nato per quelle immagini. Con l’incisione del disco a Indigo con Fabio Rizzo, mi è venuto naturale pensare a Battle For Attention come singolo di Wollow. Ma fra il brano come era stato concepito e come si posizionava all’interno dell’album si era creata una crepa: bisognava ripensare il videoclip in funzione del nuovo rapporto. Abbiamo fatto sì che le riprese in super8 fossero palesate in quanto proiezioni, e che io stesso mi proiettassi in quelle pellicole, creando un gioco di riflessi, immergendomi e confondendomi in un vortice di ricordi. Trattandosi di ricordi altrui, il gioco di proiezioni assumeva di “riflesso” il valore di un gioco di metafore. Il videoclip è stato girato nelle grotte di Janniscuru, a Enna».
Sergio Beercok dipinto dal padre Steven
Come è arrivata la collaborazione con 800A record?«Mi hanno sentito durante un “open mic”, qualche tempo dopo ho sostituito un loro artista ad un live e dopo questa esperienza sono stato invitato in studio, perché era arrivato il momento. È stato un lavoro molto meditato in un anno, condensato in 20 giorni di registrazione vera e propria».
Del tuo album sei autore e voce ed anche strumentista. «Ho suonato tutto dal guitalele al pianoforte, dal flauto boliviano ai synth, percussioni di ogni tipo ed anche il mio corpo».
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