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«Se vinciamo in Sicilia poi cacciamo Renzi»

Di Mario Barresi |

Così parlò Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e premier “predestinato” (almeno prima degli scivoloni romano-venezuelani). Pure il suo “gemello diverso”, Alessandro Di Battista, in decisa risalita nel borsino grillino, condivide lo scenario: «La Sicilia potrà diventare la prima regione amministrata dai Cinque Stelle».

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A Catania va in scena “I primi mille passi, le ragioni del No”. Piazza Università è piena. Non stracolma. Tanta bella gente: famiglie con figli (c’è pure una bambinopoli con babysitter), giovani, coppiette di anziani a passeggio, centinaia di attivisti da tutta la Sicilia. E soprattutto cittadini curiosi. Che girano fra i gazebo tematici: “Reddito di cittadinanza”, “Microcredito”, “Riforma Costituzionale e le ragioni del No”, “Giustizia e antimafia”, “Sanità e scuola pubblica”. Davanti a ognuno, un cartello: «Non gettare le cicche per terra, grazie». «Ma tanto noi la piazza la lasceremo pulita, non siamo il Pd», dice – con una freddura politico-ambientalista – la deputata regionale Angela Foti. Lo stand più affollato è quello della petizione #BiancoDimettiti, lanciata dai meetup catanesi e indirizzata al consiglio comunale. «Abbiamo finito i moduli, sono andati a fare le fotocopie», ci dice un attivista. Alle 19 sono già più di 500 le firme raccolte. La deputata Giulia Grillo, sul palco, lancia «una provocazione» al sindaco Enzo Bianco: «Abbiamo fatto centinaia di richieste di accesso agli atti, siamo pronti a ritirare la petizione se risponde alle nostre istanze. Ma non lo farà mai…». Il senatore Mario Giarrusso evoca «l’ombra della mafia». E dà una notizia da non sottovalutare: «Il prefetto e i vertici delle forze dell’ordine di Catania saranno sentiti in commissione Antimafia. L’ufficio di presidenza ha dato il via libera, aspettiamo la data». Il motivo dell’audizione? «Vogliamo sapere da chi controlla perché non controlla questa città».

Ovazioni per Ferdinando Imposimato, ex pm oggi presidente onorario aggiunto della Cassazione. L’arzillo ottantenne, in cima al pantheon grillino, comizia emozionato per il no contro al referendum, «una battaglia che senza i 5stelle non si potrà vincere». Una riforma «orrenda, deplorevole e umilante», un «colpo di Stato in bianco».

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I big più attesi sono Di Battista e Di Maio. Che si sfiorano ma non s’incontrano. Il primo è in città da venerdì, ha fatto il cameriere al ristorante “La Rete” per raccogliere fondi; “Il portavoce che vi serve” è lo slogan. Viene accolto come un divo, si sofferma a parlare con un bimbo disabile nel retropalco. Parla di Renzi, che «in Europa vale come il due di spade quando la briscola è a bastoni», mentre in patria «sta sui coglioni a nove italiani su dieci». Ricorda: «Qui in Sicilia avete dato a Berlusconi 63 seggi su 63 (si riferisce alle Politiche del 2001: erano 61 su 61, ndr), vergognatevi. Ma io ho fatto di peggio: ho votato Pd che è peggio Berlusconi, emblema dell’ipocrisia». Parla dell’esternazione del sindaco di Siracusa sulle infiltrazioni mafiose nel Pd: «Se l’avesse detto uno di noi, ne avrebbe parlato Al Jazeera». E parla di Catania, che «non ha niente meno di Barcellona», ma «purtroppo in più ha il sindaco Bianco, odiato dai tassisti».

Più da gentleman campano i toni di Di Maio, arrivato ieri in serata. Cancelleri gli cede la parola per la chiusura e lui lo ringrazia per il lavoro partito dalle scorse regionali: «Non avremmo mai preso il 25% alle politiche se non avessimo fatto il boom, quattro mesi prima in Sicilia a ottobre 2012». Poi un riferimento alla legge ammazza-grillini dell’Ars: «Hanno cambiato il concetto di maggioranza: in tutto il mondo si diventa sindaco col 51%, in Sicilia con il 40%». Difende le scelte di Roma («Crocetta ha cambiato 50 assessori, la Raggi per uno è vittima di un assalto mediatico»). Infine, il manifesto per l’Isola: ««In Sicilia c’è il deserto politico e questa desertificazione politica è causata dal Pd, dalle sue guerre interne. E il sindaco di Siracusa ci dice addirittura che il Pd sarebbe infiltrato dalla mafia. Questo deserto politico lo dobbiamo eliminare con una proposta politica che è quella del Movimento 5 stelle». Infine, l’assalto a Renzi: «Se vince il No, aveva detto che sarebbe andato a casa. Manterrà questa promessa? Mi pare che non lo voglia fare. Ma saranno i cittadini a chiedergli di dimettersi».

A Catania va in scena “I primi mille passi, le ragioni del No”. Piazza Università è piena. Non stracolma. Tanta bella gente: famiglie con figli (c’è pure una bambinopoli con babysitter), giovani, coppiette di anziani a passeggio, centinaia di attivisti da tutta la Sicilia. E soprattutto cittadini curiosi. Che girano fra i gazebo tematici: “Reddito di cittadinanza”, “Microcredito”, “Riforma Costituzionale e le ragioni del No”, “Giustizia e antimafia”, “Sanità e scuola pubblica”. Davanti a ognuno, un cartello: «Non gettare le cicche per terra, grazie». «Ma tanto noi la piazza la lasceremo pulita, non siamo il Pd», dice – con una freddura politico-ambientalista – la deputata regionale Angela Foti. Lo stand più affollato è quello della petizione #BiancoDimettiti, lanciata dai meetup catanesi e indirizzata al consiglio comunale. «Abbiamo finito i moduli, sono andati a fare le fotocopie», ci dice un attivista. Alle 19 sono già più di 500 le firme raccolte. La deputata Giulia Grillo, sul palco, lancia «una provocazione» al sindaco Enzo Bianco: «Abbiamo fatto centinaia di richieste di accesso agli atti, siamo pronti a ritirare la petizione se risponde alle nostre istanze. Ma non lo farà mai…». Il senatore Mario Giarrusso evoca «l’ombra della mafia». E dà una notizia da non sottovalutare: «Il prefetto e i vertici delle forze dell’ordine di Catania saranno sentiti in commissione Antimafia. L’ufficio di presidenza ha dato il via libera, aspettiamo la data». Il motivo dell’audizione? «Vogliamo sapere da chi controlla perché non controlla questa città».

Ovazioni per Ferdinando Imposimato, ex pm oggi presidente onorario aggiunto della Cassazione. L’arzillo ottantenne, in cima al pantheon grillino, comizia emozionato per il no contro al referendum, «una battaglia che senza i 5stelle non si potrà vincere». Una riforma «orrenda, deplorevole e umilante», un «colpo di Stato in bianco».

I big più attesi sono Di Battista e Di Maio. Che si sfiorano ma non s’incontrano. Il primo è in città da venerdì, ha fatto il cameriere al ristorante “La Rete” per raccogliere fondi; “Il portavoce che vi serve” è lo slogan. Viene accolto come un divo, si sofferma a parlare con un bimbo disabile nel retropalco. Parla di Renzi, che «in Europa vale come il due di spade quando la briscola è a bastoni», mentre in patria «sta sui coglioni a nove italiani su dieci». Ricorda: «Qui in Sicilia avete dato a Berlusconi 63 seggi su 63 (si riferisce alle Politiche del 2001: erano 61 su 61, ndr), vergognatevi. Ma io ho fatto di peggio: ho votato Pd che è peggio Berlusconi, emblema dell’ipocrisia». Parla dell’esternazione del sindaco di Siracusa sulle infiltrazioni mafiose nel Pd: «Se l’avesse detto uno di noi, ne avrebbe parlato Al Jazeera». E parla di Catania, che «non ha niente meno di Barcellona», ma «purtroppo in più ha il sindaco Bianco, odiato dai tassisti».

Più da gentleman campano i toni di Di Maio, arrivato ieri in serata. Cancelleri gli cede la parola per la chiusura e lui lo ringrazia per il lavoro partito dalle scorse regionali: «Non avremmo mai preso il 25% alle politiche se non avessimo fatto il boom, quattro mesi prima in Sicilia a ottobre 2012». Poi un riferimento alla legge ammazza-grillini dell’Ars: «Hanno cambiato il concetto di maggioranza: in tutto il mondo si diventa sindaco col 51%, in Sicilia con il 40%». Difende le scelte di Roma («Crocetta ha cambiato 50 assessori, la Raggi per uno è vittima di un assalto mediatico»). Infine, il manifesto per l’Isola: ««In Sicilia c’è il deserto politico e questa desertificazione politica è causata dal Pd, dalle sue guerre interne. E il sindaco di Siracusa ci dice addirittura che il Pd sarebbe infiltrato dalla mafia. Questo deserto politico lo dobbiamo eliminare con una proposta politica che è quella del Movimento 5 stelle». Infine, l’assalto a Renzi: «Se vince il No, aveva detto che sarebbe andato a casa. Manterrà questa promessa? Mi pare che non lo voglia fare. Ma saranno i cittadini a chiedergli di dimettersi».

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