Sciacca, dopo le trasfusioni per la talassemia contraggono l’epatite C

Di Gioacchino Schicchi / 20 Dicembre 2016

«Sarebbe improprio parlare di sangue infetto – precisano dalla direzione sanitaria – ci sono stati dei casi di infezione, o segnali di infezione di virus di Epatite C. Tutti gli elementi che abbiamo avuto fino ad oggi hanno escluso che ci siano problemi di questo tipo, a partire dal fatto che ha riguardato solo Sciacca e solo una specifica terapia. Se ci fossero state sacche infette – concludono – sarebbero state riscontrate anche in altre strutture». È chiaro, ancora, cosa l’Asp ha fatto finora: ricevuta la comunicazione della presenza dei tre casi di infezione, ha avviato tavoli tecnici e soprattutto due “audit” clinici (procedure di miglioramento della qualità che provvede a revisionare le procedure di assistenza) uno interno e uno esterno, che hanno revisionato il sistema, apportando alcuni correttivi e miglioramenti ma non riscontrando la presenza di criticità o, peggio ancora, “falle”.

 

Ma non basta. Perché su questa vicenda, ancora tutta da chiarire stanno lavorando i Nas, che nelle scorse settimane hanno fatto visita al “Giovanni Paolo II”, acquisendo documentazione e partecipando anche ad alcune riunioni tecniche. Insieme ai carabinieri, ma per altre vie, del caso di Sciacca si stanno occupando due commissioni d’indagine, una dell’assessorato regionale alla Salute e una del ministero della Salute. Anche loro hanno acquisito documentazione e effettuato i dovuti riscontri ma, al momento, non si sono ancora pronunciate. Lo faranno con verbali ufficiali che saranno trasferiti. A loro spetterà verificare che nelle procedure, oggi rafforzate e irrigidite, non vi fossero falle che avrebbero potuto lasciare spazio all’incidente o, nel peggiore dei casi al dolo. Certo è, ancora, che una eventuale causa, a questo livello delle verifiche, non è stata individuata. «Qualunque fosse – spiegano ancora dalla direzione sanitaria – è stata rimossa, tanto che fortunatamente non vi sono stati nuovi casi».

 

Ai malati, ai quali l’epatite C è stata comunque riscontrata in una fase iniziale, l’assessorato regionale garantirà le cure necessarie per curare l’infezione. Il loro recupero, fortunatamente, è dato per certo e completo entro poco tempo. Oggi sono tre, ma la tendenza potrebbe essere al rialzo. Se si è accertato che il periodo in cui il contagio sarebbe essere avvenuto si attesterebbe tra luglio e agosto scorso, l’ Azienda sanitaria provinciale è in attesa adesso che trascorra il cosiddetto “periodo finestra”: un lasso di tempo ritenuto indicativo per rilevare l’eventuale presenza del virus anche in altri pazienti. Finestra che si chiuderà intorno a febbraio, consentendo a molti – malati e non – di tirare un sospiro di sollievo.

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Redazione
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