PALERMO – E’ il sequestro di persona aggravato il reato che la Procura di Palermo contesta al ministro dell’Interno Matteo Salvini, indagato per il caso dell’illecito trattenimento a bordo della nave Diciotti dei migranti soccorsi in mare, il 16 agosto scorso, dalla Guardia Costiera. I magistrati del capoluogo hanno inviato oggi il fascicolo dell’inchiesta sul titolare del Viminale al tribunale dei ministri di Palermo, competente visto il coinvolgimento di un componente dell’esecutivo, chiedendo ai giudici di effettuare una serie di indagini. Il tribunale ha ora 90 giorni per svolgere gli approfondimenti indicati e gli altri che riterrà necessari. In questa fase il collegio ha un ruolo a metà tra quello del pm e quello del vecchio giudice istruttore potendo anche modificare i reati contestati e gli indagati. Al termine delle indagini i giudici potrebbero chiedere l’archiviazione o ritrasmettere gli atti alla Procura perché chieda al Senato l’autorizzazione a procedere per Salvini.
I magistrati palermitani hanno dunque modificato le ipotesi di reato prospettate dalla procura di Agrigento, la prima ad aprire l’inchiesta sul caso Diciotti: delle originarie accuse formulate di sequestro di persona, sequestro di persona a scopo di coazione, omissione di atti d’ufficio, abuso d’ufficio e arresto illegale, allo stato e sulla base degli atti ricevuti dai pm agrigentini, la Procura del capoluogo ha ritenuto sussistente il «solo» sequestro di persona aggravato. Le aggravanti ipotizzate a carico del ministro sono quella del fatto commesso da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni e quella del reato posto in essere ai danni di minori: una ventina di migranti bloccati sulla Diciotti erano minorenni.
I magistrati di Palermo, inoltre, a differenza dei colleghi agrigentini, che avevano indagato anche il capo di gabinetto del Viminale Matteo Piantedosi, hanno iscritto nel registro degli indagati soltanto Salvini.
In una nota, il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi ha sottolineato, tra l’altro, come il reato di sequestro di persona sarebbe stato «commesso nel territorio siciliano fino al 25 agosto 2018, in pregiudizio di numerosi soggetti stranieri» e che «dell’avvio di tale procedura è stato dato avviso al sen. Salvini ed è in corso la notifica degli avvisi ai soggetti da ritenersi persone offese». Ha inoltre spiegato che il suo ufficio «non ha svolto alcun atto di indagine», essendo la competenza del Tribunale dei ministri, e che quindi la procura ha proceduto «esclusivamente sulla base degli atti ricevuti e degli elementi, in fatto e in diritto, allo stato dagli stessi ricavabili». Proprio la lettura degli atti inviati dai pm di Agrigento avrebbe portato quelli di Palermo ad escludere, allo stato, l’ipotesi del sequestro a scopo di coazione che si realizza nel caso in cui la privazione della libertà personale sia finalizzata a costringere un terzo, uno Stato o una organizzazione internazionale, a fare qualcosa. Nel fascicolo spedito dai pm agrigentini, infatti, mancano le dichiarazioni del ministro che avrebbero eventualmente provato che il divieto di sbarco aveva come fine di indurre l’Ue e i Paesi europei a risolvere lo stallo della Diciotti e più in generale a farsi carico dell’emergenza migranti. Il tribunale dei ministri, però, potrebbe acquisire quelle dichiarazioni e modificare l’accusa in quella più grave di sequestro a scopo di coazione. L’abuso d’ufficio sarebbe invece caduto in quanto reato residuale, mentre l’omissione d’atti d’ufficio sarebbe stata considerata il mezzo per realizzare il sequestro. Ritenuta evidentemente insussistente, infine, l’ipotesi dell’arresto illegale, mancando un provvedimento formale di arresto nei confronti dei profughi. I giudici, anche sulla scorta delle indicazioni dei pm, potrebbero ora decidere di sentire Salvini e lo stesso Piantedosi, allo stato solo persona informata sui fatti e mero esecutore, come anche gli ufficiali della Guardia Costiera, dell’ordine del ministro. Resta comunque aperta la questione della competenza a procedere che pure potrebbe essere approfondita dal tribunale. Capire in quali acque fosse la Diciotti quando è arrivato l’ordine di non far sbarcare i migranti potrebbe addirittura spostare a Catania l’inchiesta. La procura di Agrigento ha ritenuto che il divieto di sbarco e quindi la fase iniziale del sequestro sia avvenuta nelle acque di Lampedusa e ha quindi ipotizzato una propria competenza, poi passata a Palermo vista la contestazione di reati ministeriali: ma la questione è tutta aperta.
Il vicepremier, dal canto suo, nel pomeriggio ha scelto la strada dello scontro frontale con la magistratura, e lo ha fatto sul suo terreno preferito, in diretta facebook, dopo aver letto l’atto della Procura di Palermo ricevuto dalle mani dei carabinieri al Viminale. E tanto è in crescendo la sua esternazione contro i giudici, che il ministro grillino della giustizia, Alfonso Bonafede, dopo aver a lungo taciuto, a fine giornata ha rotto gli indugi e ha chiesto all’alleato di governo di non tornare agli anni della Seconda Repubblica. Lo stesso hanno fatto anche il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e l’Anm.
«Qui c’è la certificazione che un organo dello Stato – ha detto Salvini via web – indaga un altro organo dello Stato, con la piccolissima differenza che questo organo dello Stato, pieno di difetti e di limiti, per carità, è stato eletto, altri non sono eletti da nessuno». «Questo ministro – ha aggiunto, rivolto a 25mila followers e quasi sfidando le ‘toghè – è stato eletto da voi, cioè a questo ministro voi avete chiesto di controllare i confini, di controllare i porti, di limitare gli sbarchi, di espellere i clandestini: me lo avete chiesto voi, quindi vi ritengo amici e complici, altri non sono eletti da nessuno e non devono rispondere a nessuno». L’aria che tirava si era già vista dal mattino con il ministro leghista che in un’intervista aveva detto che «quello che sta subendo la Lega – con riferimento al via libera al sequestro di 49 milioni al Carroccio – è un processo politico senza precedenti. Anzi, sì, uno c’è: è successo qualcosa del genere in Turchia, quando a un partito fu sequestrato tutto il patrimonio prima ancora della condanna e poi la magistratura fu costretta a restituirglielo». Per il titolare del Viminale, le inchieste sulla Lega e su di lui rendono evidente che «qualcuno» vuole «fermare Salvini, la Lega e la voglia di cambiamento del popolo italiano. Non ci fermeranno».