PALERMO – No, questa non è la solitudine dei numeri primi. Perché, a Palermo, mentre giriamo nei palazzi della sanità e della politica, una “matrice” aritmetica – inquietante se non fosse quasi blasfema – ce la sussurrano: «Lucia come suo padre Paolo: l’hanno lasciata sola. Qui e pure a Roma». L’assessore Borsellino è sull’orlo delle dimissioni. Esternate, di pancia. E poi mai rassegnate. «Un annuncio legato alla sensazione di delegittimazione», smozzica la diretta interessata, con il viso solcato dall’inquietudine, mentre si aggira tra la folla dell’ex Fabbrica Sandron. Ma «è una decisione che mi riservo di assumere», ammette. Prima ancora che all’Ars si arrivi a discutere la mozione di censura che il capogruppo di Forza Italia, Marco Falcone, presenterà domani.
E non vede l’ora di scappare, da questa Leopolda sicula, l’assessore alla Salute assediato. Infastidita, quasi schifata. Come un pesciolino rosso nell’acquario degli squali, perché consapevole – e questa è l’amara certezza subentrata da qualche giorno – che qui dentro nessuno, al di là degli attestati di facciata, si strapperebbe le vesti se la figlia del giudice ucciso dalla mafia si facesse da parte. La solitudine di Lucia. Senza più il suo braccio destro della prima ora, Salvatore Sammartano, nominato ragioniere generale della Regione nell’ennesimo valzer dei dirigenti; dopo aver maldigerito la Via Crucis riservata dal Palazzo ad Angelo Aliquò, manager stimatissimo e amico della famiglia Borsellino, al vertice della Seus-118. L’assessore s’è chiusa. Assieme al capo della segreteria particolare, Stefano Campo, e a pochissimi altri di cui si fida davvero, ingobbita sul dossier Nicole. La neonata morta in ambulanza, ultima bomba a orologeria su una poltrona che scottava già da un pezzo. «Sono al lavoro perché c’è un attività ispettiva in corso e per un obbligo morale», dice l’assessore. Che prestissimo incontrerà, lontano dai riflettori, i genitori della bimba catanese. E magari dirà loro ciò che ancora non ha detto ai giornalisti. Ma negli uffici palermitani di piazza Ottavio Ziino si prepara soprattutto quello che qualcuno dello staff definisce «il programma di uscita». Due o tre cose da fare, prima di firmare le dimissioni. Che Rosario Crocetta, in pubblico, continua ad aborrire, esternando anche alla convention renziana la «solidarietà» all’assessore, «per il suo impegno e per la sua storia».
Eppure la solitudine di Lucia dipende anche dalla distanza, sempre più marcata, dal governatore. Con il quale ha condiviso, seppur con sfumature diverse, alcune battaglie. Dalla guerra alle “prescrizioni allegre” (che ha ridotto del 20% in due anni il consumo di farmaci in Sicilia) allo stop ad alcune maxi-gare di bacino (l’ultima della serie: l’efficientamento energetico nel Palermitano) e ai fondi per progetti sanitari, come la prontonterapia al “Cannizzaro” di Catania. Schiva e sospettosa fino all’ossesso, Borsellino ha (quasi) sempre fatto di testa sua. Abbassando la guardia un paio di volte. Ad esempio sulla nomina dei due manager della sanità catanese, per i quali l’assessore – come rivelato da LiveSicilia – chiese, sulla base di un parere dell’Avvocatura dello Stato, la revoca con atto «formalizzato collegialmente dal governo». Ricevendo dal presidente e dai colleghi di giunta un silenzio distratto. Non giustificabile soltanto dai rischi di una possibile richiesta di risarcimento da parte degli aspiranti direttori generali. L’altra buccia di banana, dove Borsellino ha forse una percentuale maggiore di responsabilità, è il caso della clinica “Humanitas”: lo stop all’allargamento s’è trasformato in un boomerang clamoroso. «Ma leggendo gli atti – sostengono in assessrato – si capisce che pure questa era una polpetta avvelenata per Lucia». Una tesi tutta da verificare.
Un altro nervo scoperto nei rapporti Crocetta-Borsellino, ben più decisivo, è la gestione dell’affaire “Villa Sofia-Cervello” di Palermo. «Un dossier già rimbalzato quattro o cinque volte in commissione Sanità all’Ars», conferma il presidente Pippo Digiacomo. Promettendo «tolleranza zero» nella lettura di quelle carte, riguardanti fatti che vanno oltre l’inchiesta della Procura di Palermo sulla gestione del reparto di Chirugia plastica, il cui primario, Matteo Tutino, è medico personale di Crocetta. «Diverse anomalie nella gestione finanziaria da parte dell’ex commissario, paventando interessi presunti per favorire il trasferimento di unità e reparti all’ospedale Civico», sono state scaraventate in commissione Sanità, dove lo scorso marzo, all’epoca delle dimissioni dell’allora commissario straordinario Giacomo Sampieri, altro fedelissimo del governatore, si parlò anche di un presunto buco di bilancio di quasi 13 milioni di euro. Giovedì scorso è stata istituita una sottocommissione per un’indagine conoscitiva: due mesi di tempo per verificare cosa c’è di vero su un esposto presentato dal Cimo, sindacato dei medici ospedalieri. Sotto i riflettori, fra le altre vicende, il progetto (38 milioni) di un centro pediatrico di eccellenza Cemi-Ismep, accanto al “Cervello”, che svuoterebbe l’azienda ospedaliera di competenze a vantaggio del “Civico”. Sul verminaio di “Villa Sofia” l’assessore Borsellino avrebbe già un ponderoso faldone. Destinato (o già consegnato?) ai colleghi del padre ucciso da Cosa Nostra. E Borsellino avrebbe “persino” storto il naso, e fors’anche fatto qualcosina di più, su alcune vicende che riguardano il “San Raffaele-Giglio” di Cefalù, il cui direttore generale, Vittorio Virgilio, è un altro influentissimo – assieme a Sampieri e Tutino – componente del “cerchio magico” della sanità crocettiana.
Ed è proprio in quest’ambito che si annidano i più acerrimi nemici di Borsellino. Che ha avuto un sussulto, quando Crocetta in persona, mentre infuriava la bufera sull’assessore, le avrebbe sussurrato proprio il nome di Sampieri. Come suo accreditato successore, in caso di dimissioni. O magari – in una prospettiva futuribile, ma non troppo – come nome da sottoporre (o già proposto?) al ministro Beatrice Lorenzin, in caso di commissariamento della sanità siciliana. «Sampieri è bravissimo», è il mantra che Crocetta negli ultimi giorni ripete a chiunque gli evochi la salute, anche soltanto starnutendo.
Non è dato sapere se e quanto il ministro abbia condiviso. D’altronde: che interesse avrebbe a fare il gioco di Crocetta? Ma a Roma, a prescindere dal giudizio di Lorenzin, è già piuttosto consolidato un retrogusto d’intollerenza sull’assessore siciliano. Per vicende ben diverse dal caso Nicole. In parte legate alla stretta sulle cliniche private (che hanno già alzato la voce a livello nazionale), con il taglio di 100 posti per acuti, ma soprattutto con la rigidità nell’affrontare il tema delle convenzioni. «Stavolta chi non ha requisiti è fuori», ha detto più di una volta Lucia la solitaria.
Ma il vero casus belli – che è anche la “striscia di Gaza” in cui i nemici romani e palermitani di Borsellino, a loro volta nemici tra essi, incrociano gli interessi – è l’Ismett. L’Istituto mediterraneo trapianti e terapie è la punta di diamante della sanità siciliana, ai vertici delle classifiche internazionali. «Una straordinaria Ferrari», la definisce Digiacomo. Aggiungendo sornione: «Che però paghiamo come cinque Ferrari». Il riferimento, nemmeno troppo velato, è al rinnovo della convenzione con la Regione. Scaduta il 31 dicembre 2014, prorogata di tre mesi anche grazie a un quanto mai tempestivo emendamento inserito nella legge di stabilità nazionale. E ora la clessidra è puntata sul 31 marzo. Sul caso, ieri, si sono spesi i colonnelli di Matteo, alla Leopolda palermitana. «Se l’Ismett funziona o continua a esistere, non è una cortesia al governo nazionale», ha arringato il viceré renziano di Sicilia, Davide Faraone. Con un auspicio piuttosto chiaro: «Ora si chiuda la convenzione». Che poi è stata uno dei pochi temi siciliani concreti dell’intervento del sottosegretario alla Presidenza, Graziano Delrio, il quale ha giurato: «Firmeremo presto la convezione». Raccogliendo il grido disperato, lanciato poco prima dallo stesso palco, di Ugo Palazzo, direttore sanitario dell’Istituto di cui la Regione, il ministero della Salute e l’Università di Pittsburgh sono soci. «Non vorrei pagare lo scotto della rigidità», ha detto Palazzo. Mettendo in guardia gli inneggianti leopoldini isolani dalle «forze trasversali che vogliono mandare via il partner americano dalla Sicilia».
E buona parte di questa «rigidità» è attribuita a Borsellino. A breve sarà sentita dalla sottocommissione Sanità, che all’Ars ha avviato un’indagine conoscitiva anche «sui rapporti tra la Regione e l’Ismett». Ma in più di un’occasione l’assessore ha manifestato «perplessità» sui contenuti dell’accordo. Non tanto sulla qualità, ineccepibile. Quanto sui costi: circa 93 milioni l’anno, cifra confermata dallo stesso Digiacomo, per il “pacchetto completo”, compresi i 23 dell’Upmc (University of Pittsburgh medical center). Per pagare anche il know how, la formazione e la ricerca avanzata. Eppure l’assessore nutrirebbe qualche dubbio soprattutto sul sistema “vuoto per pieno” di una parte del contratto: finanziamenti forfettari a prescindere dalle prestazioni erogate. «Servizi che – annota il presidente Digiacomo – fermo restando il prestigio internazionale dell’ente, sono in fondo legati a una settantina di posti-letto per acuti, che hanno un costo cinque volte superiore agli analoghi nel pubblico». Con altri numeri significativi, legati agli 800 dipendenti. All’Ismett c’è un rapporto operatori/posti-letto pari a 12/1, contro i 3/1 del settore pubblico in Sicilia. I 140 medici e specialisti sono in capo all’Università di Pittsburgh; 660 le unità di personale non medico, «assunti per chiamata diretta, tutti sul groppone della Regione», snocciola il presidente della commissione Sanità. Leggendo questa lista, dove ci sono anche parentele eccellenti e più che mai trasversali, l’assessore Borsellino avrebbe strabuzzato gli occhi. La sua idea complessiva? «Questa convenzione, così com’è, va rimodulata».
Ma è probabile che, come caldeggiato da Delrio e da Faraone, dopo garbate pressioni anche da Quirinale e Vaticano, «questa convenzione» sarà firmata. Magari non dalla Borsellino, destinata a un prestigioso incarico nazionale (si parlava dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco) nella migliore delle ipotesi; oppure, tornando nei ruoli della Pubblica amministrazione, auto-esiliata in un bell’ufficio da manager con vista sull’efficientissima sanità della Toscana o dell’Emilia-Romagna. Terra, quest’ultima, proprio di quel Pierluigi Bersani che la volle fortissimamente assessore designato di Crocetta nella campagna elettorale delle Regionali. Un secolo politico fa. Ma i renziani non dimenticano questo “peccato originale”, un’aggravante per Lucia la solitaria. Chiusa nel bunker. Pronta, rassegnata all’uscita. Che sarà a «sobria e a testa alta», dicono. E silenziosa. Come le trame di chi, a Palermo e a Roma, non vede l’ora che tolga il disturbo. twitter: @MarioBarresi