Questa storia siciliana comincia in un nebbioso pomeriggio d’autunno a Londra nel 1970. Una storia di “semi”, simboli, arte del divertimento e dell’inganno. Il filosofo Michael Dummett, docente di Logica a Oxford, non vede l’ora di arrivare a casa di Sylvia Mann. Da qualche tempo i loro incontri sono diventati un’abitudine: té alle 5 una volta a settimana. L’estate precedente il filosofo ha comprato per curiosità un mazzo di Tarocchi di Marsiglia. Tornato a Londra scopre che c’è una grande collezionista di quelle carte, Sylvia Mann, che ha pezzi anche del Quattrocento. Quel giorno Sylvia gli regala un mazzo di carte moderno. Il filosofo lo sfoglia rapito. Sono Tarocchi Siciliani stampati in Italia, dalla Modiano di Trieste. La Mann non ha altre notizie. Con il mazzo in tasca Dummett scrive alla Modiano, gli rispondono che riproducono le carte per un pubblico esclusivamente siciliano e non ne conosco diffusione e regole. Un collega a Oxford (Michael aveva “stunatu a testa” a tutti) gli consiglia di parlare con lo storico Denis Mack Smith, autore di una famosa Storia della Sicilia. Questi gli suggerisce di scrivere a Marcello Cimino, giornalista palermitano.
Dummett sbarca sull’Isola nel 1971. Con Cimino, digiuno di Tarocchi, ma siciliano doc: gentile, accogliente, affettuoso, vanno a caccia di persone che conoscano il gioco, cercano informazioni in giro per la Sicilia, raccolgono dati che porteranno nel 1989 alla pubblicazione del primo volume sui Tarocchi Siciliani. In Sicilia si è perduta la memoria di questo gioco, che Dummett considera un «momento fondamentale della cultura e dell’intelligenza dei siciliani», un gioco «più affascinante del bridge e della briscola». Senza nulla, assolutamente nulla di esoterico o magico, solo un gioco tessuto di memoria e intelligenza.
I due viaggiatori scoprono che si gioca ancora, con piccolissime variazioni, in quattro cittadine: Calatafimi, Mineo, Tortorici e Barcellona Pozzo di Gotto. Perché sopravviva in questi centri nessuno è ancora riuscito a spiegarlo. Fino al re il mazzo è simile a quello delle carte classiche siciliane (ma partono dal 5, l’oro ha anche il 4, sono in tutto 41 e c’è pure la regina) , anche se i “semi” spade e mazze nel disegno, sono più intrecciati in una composizione detta portoghese. A queste carte se ne aggiungono altre 22 chiamate Trionfi che portano con le loro immagini una dimensione favolosa e fantastica: 1 I picciotti; 2 L’imperatrice; 3 L’imperatore; 4 La costanza; 5 La temperanza; 6 La fortezza; 7 La giustizia; 8 L’amore; 9 Il cocchio; 10 La ruota della fortuna; 11 L’impiccato; 12 L’eremita; 13 La morte; 14 Il vascello; 15 La torre; 16 La stella; 17 La luna; 18 Il sole; 19 La palla (‘a badda); 20 Giove. Senza numero ci sono Il fuggitivo o ‘u Fujutu e La miseria. Si gioca in tre o in quattro, e in quest’ultimo caso il compagno si può avere “chiamando” una carta che non si sa in quali mani sia e quindi non si conosce subito il proprio compagno (come nella briscola in cinque).
Anche Italo Calvino era rimasto ammaliato dai Tarocchi, quelli ferraresi del Quattrocento, tanto da scriverne un romanzo, “Il castello dei destini incrociati” in cui, per un incantesimo, i personaggi possono comunicare solo con le raffinate carte di Bonifacio Bembo. I Tarocchi sono infatti una creazione tutta italiana, nascono a Ferrara, proprio accanto ad Ariosto che scrive l’Orlando Furioso e da lì corrono in tutta Europa, modificandosi e adattandosi alla cultura di ogni Paese. Alla fine del Settecento, un francese scrive un libro in cui suggerisce che i tarocchi potrebbero avere un collegamento con altri mondi, con magie bianche e nere, con elementi esoterici. Il gioco diventa cartomanzia.
Non ci sono molte notizie sull’arrivo dei Tarocchi in Sicilia, tra nobili e collezionisti (il principe di Biscari e il Monastero dei Benedettini a Catania) circolava qualche carta quattrocentesca. Il gioco dovrebbe essere arrivato nella seconda metà del Seicento con un mazzo di derivazione fiorentina chiamato Minchiate (ma non nel senso siciliano). Lo sbarco in Sicilia porta variazioni, vengono eliminato diversi Trionfi per rendere più agile il gioco. Il movimento dei soggetti – «circolare, centripeto, bloccato dai confini della carta» – è più vivo nei mazzi antichi, quelli con la colorazione alla “moresca”, fatta con la punta del dito. Nei secoli le figure diventano sempre più stilizzate e più popolari: non più piccoli quadri ma figure da gioco, funzionali, facilmente leggibili. Il gioco all’inizio del secolo scorso divenne meno popolare e la stampa fu presa da una signora catanese, Concetta Campione che alla fine degli anni Trenta sfornava Tarocchi Siciliani, mentre davanti all’ufficio c’era un casotto della finanza che tassava e timbrava tutti i mazzi. La tipografia stampava anche le veline per avvolgere le arance, e le carte prima di essere inserite nella scatoletta di cartone erano avvolte, proprio come i profumati tarocchi, da una velina su cui dominavano l’Etna e gli archi della Marina. Con la crisi degli anni 60-70 (legata alle arance) le carte – che ancora oggi si possono acquistare – passarono alla Modiano.
Dopo Michael Dummett non molti progressi sono stati fatti sulla storia dei Tarocchi Siciliani. A colmare l’imperdonabile lacuna, ecco una mostra che aprirà i battenti il 21 settembre al Castello Ursino dove resterà fino al 6 gennaio. Un evento espositivo unico nel suo genere in Sicilia, promosso dal Museo Civico Castello Ursino (che possiede splendide carte ferraresi del Quattrocento), dall’assessorato ai Beni Culturali del Comune di Catania e organizzato dall’“Associazione Culturale Gioco Tarocchi Siciliani – Michael Dummett” di Catania diretta da Salvo Bonaccorsi – anima della mostra, storico e giocatore egli stesso di Tarocchi – e dall’International Playing-Card Society di Londra, che sarà presente a Catania con i più importanti studiosi e collezionisti. Numerosi mazzi di Tarocchi (siciliani, del resto d’Italia e di altri Paesi) antichi e moderni, matrici, documenti, immagini racconteranno la storia della presenza, della produzione e della pratica del gioco dei Tarocchi e delle carte da gioco in Sicilia, dalla metà del Quattrocento ai giorni nostri. Una mostra piccola e originale che conduce dentro un mondo fantastico, trasporta nei circoli dei nobili e nelle osterie, mostra, in ogni “seme”, in ogni figura, arte e cultura siciliana, racconta una storia di secoli. Carta canta.