Remon il picciriddu che viene dal mare
Remon, il picciriddu che viene dal mare
Si ritroveranno domani in Puglia per i Magna Grecia Awards ma intanto Catena Fiorello ha intervistato per noi il ragazzo egiziano s la cui storia ha ispirato Il mare nasconde le stelle libro di Francesca Barra
L’impegno delle donne e il valore dell’accoglienza sono le parole chiave della XIX edizione dei “Magna Grecia Awards” che si svolgerà domani sera al Teatro Spadaro di Massafra in provincia di Taranto. Tra i premiati il sedicenne egiziano Remon Karam, copto cristiano, uno dei ragazzi migranti sopravvissuti alle traversate e sbarcato ad Augusta, dove oggi vive affidato ad una famiglia. Il ragazzo è il protagonista del romanzo Il mare nasconde le stelle (Garzanti) della giornalista lucana Francesca Barra. I Magna Grecia Awards saranno presentati dalla scrittrice Catena Fiorello, come noto cresciuta ad Augusta, che ha intervistato in esclusiva per “Vivere” il giovane Remon.
“Buongiorno Remon, mi chiamo Catena Fiorello. Sono una scrittrice nata a Catania e cresciuta ad Augusta, ti contatto dopo aver letto la tua storia narrata nel libro Il mare nasconde le stelle di Francesca Barra. Leggendo la tua storia mi sono resa conto che io e te abbiamo molte cose in comune”. E’ così che inizia la lunga e commovente conversazione con il mio intervistato il quale, nonostante la giovane età, ha un vissuto che purtroppo, come accade a coloro che si trovano nella medesima situazione, lo segnerà per tutta la vita!
Remon, dieci anni fa scrissi un romanzo dal titolo Picciridda, una storia che ha commosso tanti lettori, quella di Lucia, una bambina di 11 anni lasciata in Sicilia dai suoi genitori, costretti a cercare fortuna in Germania perché poverissimi. Io racconto la storia di una bambina che non poteva gridare il suo dolore. Negli Anni 60 e 70 i bambini hanno sofferto in silenzio, non li ascoltava nessuno, soprattutto se erano poveri e spesso subivano violenze sessuali, come la protagonista del mio romanzo. La dinamica della storia è diversa però c’è qualcosa che vi accomuna.
«Ritengo che la cosa che ci accomuni sia la sofferenza».
Poterti intervistare è stato un segno divino. Io e te crediamo molto in Dio: come lo immagini?
«Come un padre. Sai che c’è ma non lo vedi, lo sento presente ovunque. Anche se non c’è una testimonianza, so che esiste!».
Durante il viaggio hai subito molte sofferenze fisiche. In quel momento pensavi ci fosse sempre lo stesso Dio o che si fosse distratto un attimo?
«Nel momento in cui soffrivo credevo si fosse dimenticato di me perché la sofferenza non cessava, era continua e quindi non trovavo una risposta a tutto ciò che mi stava accadendo anche se, in fondo in fondo, sapevo che qualcuno mi ascoltava. Quando dopo qualche giorno di traversata ho visto le stelle ho pensato si trattasse di un segnale divino interpretandolo come una risposta ai miei tanti dubbi. Ritengo che anche dietro le piccole cose si celino segnali importanti».
Ed ecco che il miracolo arriva! Dopo qualche giorno sei arrivato in Italia ed hai incontrato Carmelo e Marilena oggi tuoi genitori affidatari che ti hanno permesso di vivere come un ragazzo italiano senza farti mancare nulla sia sul piano affettivo che su quello materiale. Cosa hai provato la prima volta che hai visto un tuo coetaneo italiano vivere una vita agiata rispetto alla tua?
«Ho pensato che sono più immaturi, non apprezzano quello che hanno. Io, al contrario, apprezzo tutto ciò che ho. A me basta anche una cosa sola, avere i miei genitori e non mi importa di tutto il resto».
Oltre ai tuoi genitori naturali, oggi senti come tuoi anche Marilena e Carmelo?
«Assolutamente sì, anche loro sono i miei genitori».
L’importanza del focolare domestico si fa ancora più accentuata nell’età adolescenziale, qual è l’odore più forte che ti è rimasto dentro al naso fino al giorno prima di partire dall’Egitto?
«L’odore di casa mia, la sensazione che vivi in un posto dove sei nato. Oltre all’odore dei biscotti che la notte mia madre preparava insieme a me e mio fratello, svegli sino alle quattro del mattino».
Nel romanzo, Francesca Barra racconta la tua prima volta al mare. Quel mare assomiglia a quello siciliano?
«Il colore è diverso, il nostro è di un verde più chiaro. Dopo l’esperienza che ho fatto durante la traversata per me quella distesa d’acqua adesso ha un significato diverso».
Per te il mare nasconderà sempre un pezzo di dolore?
«Sì, proprio così!».
Quella che impropriamente definiscono emergenza profughi è ormai una realtà quotidiana. Chi, come te ha fatto la stessa esperienza, ed è passato dall’altra parte come la guarda?
«Sono stato fortunato, le speranze di farcela erano poche, nessuno ti dice niente, non vedi nulla».
Ci pensavi alla morte?
«Sempre, forse ci sono passato sopra senza cascarci. Provavo paura e coraggio allo stesso tempo, nessuno mi ha donato una carezza».
Perché secondo te in un momento di disperazione come quello ad una mamma non viene spontaneo fare una carezza ad un ragazzo come te?
«Forse per non farti ricordare la tua mamma e il tuo passato».
Si diventa cattivi quando si soffre?
«Io non lo sono diventato, non ero arrabbiato».
Nel libro che narra la tua storia parli anche delle cattiverie subite dai tuoi ex compagni di scuola del tuo Paese. Oggi come ti comporteresti con loro?
«Non li considererei, di fronte all’ignoranza l’intelligenza tace».
Sogni di diventare ingegnere…
«Sin da piccolo, quando ho conosciuto il computer. Forse lo diventerò, ci credo, ma potrei anche svolgere un’altra professione».
Le persecuzioni da religione nel mondo continuano ancora. Secondo te da dove nasce il voler imporre agli altri il proprio credo?
«Dall’egoismo, dalla prepotenza, dalla fame di potere, dall’ambizione di voler essere sempre più forti».
Ci si abitua alla sofferenza? Se ti capitasse di incontrare una persona di quelle che vorrebbero mandare a casa gli immigrati, cosa gli diresti?
«Alla sofferenza purtroppo ci si abitua. Se dovessi incontrare qualcuno che vuol mandare a casa gli immigrati risponderei che gli immigrati non siamo solo noi, lo è stato anche Gesù. Io non occupo le case degli altri, ho solo chiesto aiuto!».
Remon abbiamo iniziato l’intervista parlando di Lucia, la protagonista del romanzo Picciridda dove alla fine sostengo che il ponte delle persone che emigrano è pieno di gente, una volta tocca agli italiani, un’altra agli egiziani. Ci saranno sempre popoli costretti, dal bisogno, a lasciare la propria terra. Ti piacerebbe incontrare Lucia?
«Sì, mi piacerebbe».
Allora ti anticipo che il prossimo 31 agosto Picciridda ritornerà in libreria. Chissà se troveremo le storie dei due personaggi Remon e Lucia esposte l’una accanto all’altra.
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