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Raid punitivo al Vittorio Emanuele, medici delusi dal silenzio della città

Di Giuseppe Bonaccorsi |

CATANIA – Il pestaggio del medico, le riprese delle telecamere che evidenziano la spedizione punitiva contro il sanitario. E ancora il silenzio della società civile e della città, anche dei vertici, verso un atto violento contro chi ogni giorno affronta l’emergenza in corsia. Di questo si è parlato ieri nel corso di una affollata riunione che si è tenuta al pronto soccorso del V. Emanuele. Il sentimento principale dei medici del reparto che è emerso dalla riunione è quello dello sconcerto, dello stupore, della delusione e della rassegnazione, in particolare per la scarsa partecipazione dell’opinione pubblica civile – eccetto sindacati e Ordine medici – nei confronti dell’episodio verificatosi, che rischia di incrinare ancor di più il rapporto tra medico e pazienti e che va inquadrato non nel rapporto dialettico spesso «forte» tra medico e il paziente che chiede una visita urgente, ma nella sfera dell’atto intimidatorio che nulla ha a che vedere con l’operato del medico.

In verità va aggiunto che sul piano politico al medico aggredito sono arrivita numerosi attestati di solidarietà, dal deputato Pd Giuseppe Berretta al sottosegretario alla Salute, Davide Faraone che ha anche annunciato a breve una sua visita al reparto. Proprio il silenzio assordante della città ha contribuito a suscitare nei medici del reparto quel sentimento di abbandono, come se la città non abbia capito la drammaticità del fatto avvenuto. Comunque, al di là dei sentimenti, il personale del reparto, alla fine della riunione, ha emesso un documento con alcune richieste che è stato inviato alla direzione generale dell’azienda.

 Al primo punto i medici e gli infermieri chiedono il raddoppio della vigilanza all’interno del reparto ed eventualmente, se dovessero emergere responsabilità nell’accaduto, prevedere anche l’ipotesi di far subentrare nel controllo del presidio l’altro istituto di vigilanza con il quale l’Ove ha un rapporto contrattuale. Come seconda richiesta i sanitari hanno sollecitato l’allontanamento di tutto quel personale che potrebbe aver avuto un ruolo, o presunto tale, nell’aggressione, a partire da chi ha aperto la porta d’accesso che dà all’interno del pronto soccorso. I medici chiedono anche di prevedere un servizio di scorta notturna per tutti i sanitari che, alla fine del loro turno, devono raggiungere le vetture che spesso sono posteggiate lontano dal presidio. Al punto 4 del documento il personale chiede all’Azienda di non remorare neanche un attimo nel trasferimento del Pronto soccorso al Policlinico, anche davanti a possibili prese di posizione per il mantenimento del presidio Ove sino a quando sarà operativo il San Marco.

IL VIDEO DEL RAID PUNITIVO

Per avvalorare questo punto i medici ricordano ai responsabili aziendali, ma anche a tutte le autorità preposte, che l’attuale ospedale V. Emanuele, e in particolare il Pronto soccorso ogni giorno raggiunto da migliaia di persone, è un sito sensibile che non risponde affatto ai canoni della sicurezza, sia quella sismica, che quella delle vie di fuga. Ed è quindi un sito non idoneo, composto da locali vecchi e angusti. Considerare di lasciare ancora chiuso un reparto all’avanguardia – quello del Policlinico – che può fornire canoni di sicurezza, ma soprattutto una assistenza più capillare, è un tema che non può più essere rinviato. Tra l’altro su questo punto anche l’Ordine dei medici nella riunione di due giorni fa, ha chiesto alle autorità il non rinvio dell’apertura del presidio del «Rodolico».

Tra le richieste del documento anche quella di ottenere, anche per un breve periodo, il controllo del reparto di militari dell’operazione «Catania sicura», e inoltre l’installazione sotto ogni scrivania medica di un pulsante collegato con le forze dell’ordine. Oggi il servizio è già operativo, ma il pulsante è stato installato solo in una stanza.

Infine nell’ultimo punto i medici hanno lanciato una seria provocazione, chiedendo all’azienda di applicare le stesse procedure oggi in vigore negli ospedali inglesi, dove il personale in servizio è abilitato a sospendere l’attività in caso di aggressione. Per questo i medici hanno chiesto alla direzione di studiare una procedura idonea che eviti al medico aggredito anche la denuncia per interruzione di pubblico servizio. L’ultima richiesta suona come un’idea inapplicabile, ma i medici sostengono che al termine dell’aggressione il medico ha dovuto continuare il suo turno, ma nelle condizioni in cui era, sia fisiche che mentali, non era certo troppo concentrato.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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