Dopo la Fiat di Termini Imerese, ora è l’Eni in fuga dalla Sicilia. E ciò che spaventa in questi giorni una Gela che è “raffineria-dipendente” in fatto di occupazione.
Ferma da tre mesi tra incendi e manutenzioni, la fabbrica del petrolio rischia di non tornare più in marcia. Dal ministero dell’Ambiente è arrivata una diffida a vendere energia elettrica all’esterno. Trenta giorni il tempo concesso per lo stop al business più importante per la società dell’Eni. La raffineria di Gela ha un sistema di produzione basato sull’uso come combustibile del pet coke. Può farlo grazie a una legge ad hoc del 2002 perché fuori dal sito di Gela il pet coke è un rifiuto. Bruciandolo, la raffineria produce energia elettrica in abbondanza anche per venderla all’esterno. Finora si è potuto esportare energia rispettando i limiti di emissioni imposti dalla legge a una raffineria. Ma i problemi per l’Eni sono iniziati dopo aver ottenuto l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale): il ministero dell’Ambiente ha evidenziato che la centrale termoelettrica con le caldaie che bruciano pet coke è un grande impianto di combustione e, come tale, deve rispettare i limiti di emissioni degli impianti simili.
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