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Pokémon go e nazismo: per mons. Staglianò «troppe analogie»

Di Ottavio Gintoli |

NOTO – Una vera e propria chiamata al “pensiero”. Mons. Antonio Staglianò invita tutti a unirsi perché “si ritorni a pensare” contro il totalitarismo globale. La recente uscita su Pokémon Go, sul gioco che rischia di alienare dalla realtà i giovani, è stata solo un avviso del pericolo a cui rischia di andare incontro la società se continua a “non pensare”. Ma il ragionamento è molto più grande e profondo e il vescovo di Noto lo spiega, partendo da Falcone e Borsellino, passando per Hannah Arendt fino a proporre l’idea di un’azione legale contro Nintendo e i creatori di Pokemon go.

Mons. Staglianò, la sua uscita sull’app del momento ha fatto tanto rumore, la notizia che noi abbiamo anticipato è stata battuta da tutte le testate nazionali. Ma non è stato l’unico a esprimersi su Pokémon go…

«Per Maria Falcone è “una mancanza di sensibilità abnorme” utilizzare per il gioco di Pokemon go la stele dedicata in autostrada al fratello Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino, martiri della giustizia insieme ai poliziotti della loro scorta. Ritengo sia giusto addolorarsi per questa profanazione virtuale irrispettosa e degradante. Indignarsi è il primo passo per cominciare a pensare».

Cominciare a pensare, ma per arrivare dove? O per evitare cosa?

«Quando ero giovane circolavano in Francia i “nuovi filosofi” che parlavano di barbarie dal volto umano e nei miei studi mi sono imbattuto in un’opera bella di Hannah Arendt sulla “banalità del male”. Brevemente: per compiere il male più nefasto, non c’è bisogno che ci sia alla fonte la malvagità del cuore, basta la normalità di un essere umano superficiale, banale, stupido, senza idee. Ecco tutto. Dopo l’indignazione su come Pokémon go mostri la sua irriverente barbarie per collocare le sue palestre virtuali in cattedrali e altri luoghi di culto, (per esempio la nostra Basilica cattedrale di Noto, monumento del barocco netino), occorre cominciare a pensare, perché è proprio la “mancanza del pensiero” sulle nostre azioni il vero motore che attiva quel “segreto meccanismo” che origina il potere sulle coscienze degli individui, e che produce quella “massa atomizzata e amorfa” in cui gli individui non hanno nessun vincolo sociale e sono perfettamente isolati».

Un controsenso, dunque: la rete, la tecnologia che invece di farti diventare più social, trasforma in “asocial”?

«Ai posteri l’ardua sentenza, direi, ma i posteri siamo noi, oggi e qui, che non dobbiamo regredire nel pensare i fenomeni sociali, specie quelli imposti da chi come “grande burattinaio” vuole eterodirigere tutti nel mondo e lo vuole fare con un “unico colpo”, perciò ha bisogno di creare il “gioco globale” che tramite la propria mappatura della terra metta in gioco tutti, assolutamente tutti. Certo, tutti quelli che diventano burattini, senza pensarci tanto. In fondo, cos’è Pokémon go, un gioco come gli altri, si direbbe! In verità, questo gioco esprime la crisi della relazione umana, oggi, nelle società liquide e senza ancoraggi. Riguarda tutti, ragazzi e adulti. Il gioco, però, è anche la causa della crisi umana: la incrementa, foraggiando le spinte narcisistiche e autistiche che sono tentazioni permanenti dell’anima in ogni epoca».

Torniamo un attimo indietro. Poco fa citava Hannah Arendt e il concetto di male. In qualche modo si finisce su un argomento forte: i campi di concentramento nazisti che lei ha paragonato a quelli di Pokémon go.

«Se lo strumento (la tecnologia, il gioco, i social) diventa soggetto e le persone, sempre più isolate nel loro essere individui asociali, diventano oggetti, allora l’uomo è ridotto “a pura animalità”, come sostenne Arendt analizzando cosa avveniva nella “vera istituzione del potere totalitario” nazista, il campo di concentramento. E studiando il pensiero di Arendt, mi pare di individuare non poche analogie tra “il campo di concentramento nazista” e “il campo di concentrazione pokemista”. Per esempio la frustrazione della capacità umana di operare insieme ad altri, con un sentimento sempre crescente di estraniazione nella sfera social oppure lo sradicamento dalla realtà che sviluppa un sentimento di non appartenenza al proprio mondo, alla propria comunità, alla propria famiglia. C’è anche una sorta di anestesia dell’anima che rende insensibili al bisogno di cura, di prossimità, di amicizia, senza il quale gli esseri umani nemmeno sanno chi sono e la mancanza di pensiero, soprattutto, cioè la perdita progressiva del potere di riflettere sulle proprie azioni e dunque di capire la mostruosità dei propri gesti. Adolf Eichmann, quello della “soluzione finale” del popolo ebraico, era allora non necessariamente un malvagio o un demonio, ma semplicemente un individuo superficiale, banale, senza coscienza, non essendo in grado di capire le mostruosità che commetteva, un devoto burocrate della macchina nazista, un burattino che si muove meccanicamente. E perché? Perché era senza idee».

Non pensa di aver esagerato in questo parallelismo?

«Non ho per nulla esagerato. Io stesso credevo esagerasse Pier Paolo Pasolini quando negli Scritti corsari e in Lettere luterane scriveva sul nuovo potere della società dei consumi che, tramite la televisione, si consolidava creando giovani inebetiti, instupiditi e sosteneva che il nuovo potere era molto peggio di quello fascista, perché diversamente da questo, entrava nelle coscienze, svuotandole. A noi giovani sembrava un’esagerazione. Oggi tutti riconoscono che c’era della profezia dentro quell’analisi intellettuale schietta e lucida, benché cruda».

E se dovesse utilizzare le canzonette per diffondere questo pensiero?

«Per dirla con le canzonette di Sanremo, penso a Roberto Vecchioni che qualche anno fa ha vinto il festival con quel testo stupendo che è “Chiamami solo amore”, in cui invita i giovani a essere belli perché sanno ritornare sulle piazze e manifestare la loro voglia di partecipazione o perché sanno leggere un libro vero e perciò resistono a questi “signori del dolore, che stanno uccidendoci il pensiero”. Ha ragione anche Rocco Hunt che, nella canzonetta di quest’anno, “Wake up”, a un certo punto sottolinea: “ma che futuro abbiamo noi, cresciuti senza direzione, tutti dietro alla tastiera e chi a fa a rivoluzione”».

Ma il pensiero, anzi il “tornare a pensare” sicuramente non basta. Servono azioni concrete. Lei ne ha già in mente qualcuna?

«Si dovrebbe promuovere un’azione legale in difesa del diritto degli esseri umani alla libertà di esseri responsabili nella capacità di pensare. Ho chiesto a due miei amici avvocati, Corrado Valvo del foro di Siracusa e Marcello Bombardiere del foro di Crotone, di pensare la fattispecie della denuncia. C’è in “campo” la sicurezza sociale degli uomini e delle donne della terra. Certo, credo che il diritto internazionale non è forse ancora attrezzato per questo tipo di materia, ma si può, credo, cominciare, magari costituendo un collegio di avvocati in tutto il pianeta abitato dagli esseri umani che vogliano restare umani».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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