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Pizza siciliana con bollino di qualità: buona anche per chef Bruno Barbieri   

Di Maria Ausilia Boemi |

Farine da grani antichi siciliani, prodotti locali come farcitura, lievitazione corretta: sono i tre pilastri su cui si fonda il progetto di creare un marchio di qualità per la pizza siciliana (Pqs, ovvero “Pizza Qualità Siciliana”). Il primo passo ufficiale è stato compiuto all’Expocook Palermo – mentre già da tempo si sta mettendo a punto il disciplinare (che sarà pronto a giugno) – con una tavola rotonda organizzata dal dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e forestali di Palermo e da Cifa Unione pizzaioli italiani, col contributo di Fonarcom (fondo paritetico interprofessionale nazionale per la formazione continua).

A intestarsi questa battaglia, tra gli altri, l’agrigentino Stefano Catalano, presidente Cifa Unione pizzaioli italiani e responsabile nazionale Cucina&Tradizione Ristoworld Italy, l’associazione internazionale di cucina, turismo e mondo della ristorazione presieduta dallo chef Andrea Finocchiaro. «La pizza – spiega Stefano Catalano – è uno dei più antichi alimenti, nasce col pane e ne segue la storia. Il significato di Pizza Qualità Siciliana è preparare la pizza, che altro non è che l’antico pane delle feste per noi siciliani, con i prodotti del territorio isolano: un piano che porta benefici alla microeconomia (stop allo spopolamento di campagne), all’ambiente (i nostri grani antichi non hanno bisogno di trattamenti fitosanitari), alla salute dei consumatori (uso di farine naturali). Insomma, utilizzare la pizza come alimento per promuovere i prodotti locali: le farine di grani antichi, il pomodoro della filiera cortissima (a Siracusa, ad esempio, quello di Pachino, nell’Agrigentino il siccagno), gli aromi nostrani (la pizza nostra – con la quale intendiamo diversi prodotti di rosticceria – si differenzia dalle altre per la semplicità), l’olio extravergine d’oliva, i formaggi locali (al posto della mozzarella è perfetta la tuma fresca). Bruno Barbieri l’ha già assaggiata ed è rimasto entusiasta».

Perché la pizza non è altro che il pane più arcaico, poi condito: «Quando l’uomo ha iniziato a pestare il grano e a fare una poltiglia da orzo e farro, prima ha fatto una pallina, poi l’ha schiacciata e l’ha messa a cuocere su pietra e in seguito, con i greci, nei forni, cominciando a usare il lievito. Una volta soddisfatto il bisogno primario di nutrirsi col pane, è nata la pizza che, da una base di solo orzo, si è trasformata in un cibo vario e raffinato, condita con olio, aglio, cipolla, olive, formaggio. D’altronde, i pani prodotti in Sicilia erano una sessantina, con nomi legati alle forme, ai cereali impiegati, agli ingredienti, alle modalità di cottura e ai riti propiziatori e alle ricorrenze a cui erano destinati». Pizza, quindi, di origine storica siciliana, secondo Catalano, e non napoletana: «Il pane nasce dove c’era il grano e la Sicilia era il granaio prima dell’antica Grecia ed in seguito dell’Impero romano, conservando il primato durante le dominazioni bizantina e araba». Una pizza siciliana di cui esistono diverse varietà. E Catalano rivela che «la prima Pizza Qualità Siciliana sarà quella sicana, fatta con farine di grani antichi siciliani e condita con olio extravergine d’oliva, salsa di pomodoro, mollica saporita e tuma». A giugno sarà presentato ufficialmente il disciplinare, cui seguirà la formazione dei pizzaioli.

Una pizza, dicevamo, attenta alla salute dei consumatori: «Anche dal punto di vista medico e scientifico – sottolinea Marsh Proietto di Silvestro, segretario nazionale di Ristoworld Italy – si è data evidenza che le farine siciliane di grani antichi hanno ad esempio un basso impatto glicemico e, con una levitazione adeguata, questi impasti sono adatti anche i diabetici. Ma anche altre malattie croniche non trasmissibili possono essere prevenute con il loro utilizzo e soprattutto con una lievitazione naturale e corretta nei tempi (come sottolineato, durante il convegno, da Giuseppe Disclafani, area Gastroenterologia nazionale Sime). Anche i prodotti sulla pizza sono importantissimi: stop quindi alle paste di formaggio di dubbia provenienza che imperversano e via libera solo a olio extravergine d’oliva, formaggi e pomodori siciliani, in modo che questo percorso virtuoso che parte dalle farine, passa dalla levitazione e arriva all’utilizzo delle materie prime, alla fine dia un prodotto certificato di qualità. È un progetto molto ambizioso ma di cui si sente l’esigenza perché sulla pizza si muovono interessi enormi a livello economico. Attualmente, si sta facendo la cernita delle farine, dei presidi, delle tecniche di lievitazione che possono soddisfare questi criteri di qualità, in modo da stilarne un elenco che possa certificare ogni passaggio della filiera al fine di ottenere qualità».

Un ulteriore passo per la salvaguardia della pizza: «Dopo l’ottenimento da parte del ministero delle Politiche agricole del marchio di qualità della pizza italiana con la Fondazione Mondo Pizza – sottolinea Claudio Leocata, responsabile del settore pizzeria di Ristoworld, nonché campione mondiale di pizzeria – vogliamo, attraverso la pizza e coinvolgendo pizzaioli, associazioni e atenei, valorizzare l’enorme patrimonio gastronomico siciliano. La Sicilia oggi è leader nella produzione e nella commercializzazione dei grani antichi: noi però vogliamo valorizzare non solo le farine, ma anche gli ingredienti di farcitura, in particolare i presidi slow food siciliani (formaggi e pomodori)».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA