Arrivai forse nel momento più brutto. Ero reduce dal grande successo di Settevoci. L’anno prima era morto Luigi Tenco, c’era un clima da tragedia. La Rai pensò di affidare agli organizzatori, Gianni Ravera ed Ezio Radaelli, una edizione del Festival completamente rinnovata, cominciando dal presentatore. E così mi trovai catapultato nel Salone delle Feste del Casinò di Sanremo. Un dirigente della Rai mi disse: «Stasera si gioca tutta la carriera!», aiutandomi a essere tranquillo!
Per la prima volta era una edizione internazionale. Furono chiamati i più grandi interpreti d’Oltralpe e d’Oltreoceano che cantavano le stesse canzoni dei nostri big nazionali. Arrivarono Louis Armstrong, Eartha Kitt, Dionne Warwick, Roberto Carlos e tanti altri. Fui il protagonista di un episodio unico nel suo genere, quando Ravera mi lanciò sul palcoscenico per sfilare la tromba dalla bocca di Louis Armstrong, il quale, dopo aver cantato il motivetto Mi va di cantare, non sapendo di essere in concorso al Festival, voleva continuare a fare la sua jam session. Lo spinsi dietro le quinte con le buone maniere, con il sorriso e sventolando un fazzoletto bianco.
Dopo quel Festival, per dodici anni, sono tornato a Sanremo, realizzando un record, modestamente, difficilmente superabile. Ho vissuto momenti bellissimi. Lavoravo al Festival nove mesi su dodici, ascoltavo centinaia di canzoni, poi ne sceglievo una sessantina da proporre alla commissione tecnica.
Ricordare gli anni più belli è difficile, qualche immagine, però, è stampata nella memoria, come la vittoria del trio Morandi, Tozzi e Ruggeri con “Si può dare di più” e nella stessa edizione l’annuncio, purtroppo, della morte di un grande del Festival come Claudio Villa. Il Tg aveva chiesto la linea per fare l’edizione straordinaria e annunciare la morte di Villa. Io dissi no. Dissi no perché Sanremo era la casa di Claudio ed era giusto che la sua morte venisse annunciata dal Festival. «No – dissi – io interrompo adesso». E diedi la notizia. Morandi piangeva come un disperato.
E poi i ricordi “siciliani”, a cominciare da Modugno, che era pugliese ma si spacciava per siciliano. Poi Franco Battiato. Franco aveva un atteggiamento schivo, molto modesto, sembrava esserci e non esserci. Ma s’imponeva con la sua classe, le scelte stilistiche, i cantanti che ha portato, da Alice a Giuni Russo. Per Elisa ha un significato nascosto, perché Elisa è la droga, trattata in modo poetico, esemplare, con grande classe. Un grande autore, mai una presunzione, in palcoscenico è un personaggio anche quando non fa niente. Un giorno Franco mi telefonò e mi disse: «Giuni sta molto male, ha scritto una canzone, portala a Sanremo».
Ascoltai la canzone che era un grido disperato, un atto d’amore di una donna che non vuole lasciare la vita. La portai a Sanremo, cantò con un copricapo per nascondere le conseguenze della chemioterapia. Il pubblico non capì e ci fu qualche critica ingenerosa, ma Giuni Russo regalò una interpretazione memorabile: resta una grande cantante, una grande donna. L’avevo tenuta a battesimo a Castrocaro nel 1967, la condussi nel 2003 alla sua ultima, drammatica ed esaltante partecipazione al Festival.
Gianni Bella, grande autore e bravo cantante, e la sorella Marcella, che ancora oggi ha una vitalità artistica eccezionale, hanno ben rappresentato la Sicilia al Festival. E ricordo il lancio di Carmen Consoli: il discografico catanese Francesco Virlinzi mi propose il provino di questa ragazza. Ascoltai “Un amore di plastica”. Mi emozionò e mi convinsi subito a portarla a Sanremo, dove fu la grande novità. Fece un Festival eccezionale, è un’artista piena di talento. E poi Gerardina Trovato, bella voce ma problemi di equilibrio molto forti, Silvia Salemi, bellissima e di forte personalità, Mario Biondi col suo cammeo del 2007 con Amalia Gré, Cristiano Malgioglio, Christian, Mario Venuti, i Denovo…
Ho dato al Festival un’impronta internazionale. La discografia straniera aveva messo l’appuntamento con la città dei fiori nel calendario delle grandi manifestazioni europee e quindi ho avuto la fortuna di ospitare cantanti che mai avrebbero pensato di venire ad esibirsi al Festival. Una debuttante sconvolgente Whitney Houston con All at once, l’unica superospite che ha cantato per due volte su richiesta popolare nella storia del Festival la stessa canzone. E poi Bruce Springsteen, Madonna, Annie Lennox, Gilbert Bécaud, Elton John e tanti altri, tutti grandi e tutti quanti facevano a gara per venire gratuitamente – incredibile a dirsi! – al Festival.
Sanremo è la manifestazione tra i tanti spettacoli che ho fatto che più mi sta a cuore. Anche perché, oltre agli ospiti canori, ho avuto delle partecipazioni divertenti. Gli ingressi mirabolanti di Roberto Benigni, le performance spiritosissime di Rosario Fiorello, e poi il Trio Massimo Lopez, la compianta Anna Marchesini e Tullio Solenghi – che ha fatto una storia comica del Festival di Sanremo. Assieme a Sergio Bardotti e Pippo Caruso coniammo lo slogan Perché Sanremo è Sanremo, accompagnato da un motivetto che è rimasto la caratteristica di tanti Festival.
Oggi il Festival ha perso molto fascino, ma penso che si possa recuperarlo e sinceramente spero che gli incaricati a organizzarlo artisticamente facciano il meglio perché Sanremo sia una tappa di arrivo, non una tappa di partenza. Negli ultimi anni, purtroppo, al Festival sono arrivati tanti cantanti, alcuni dei quali hanno anche vinto, la cui stagione è durata soltanto un anno o poco più. Il Festival deve essere l’università della canzone, deve rappresentare il massimo del prodotto discografico italiano e i più grandi devono avere la gioia di partecipare, come hanno fatto in passato Domenico Modugno, Tony Renis, Al Bano, Morandi.
È chiaro che quando chiudo gli occhi la sera e penso alla riviera dei fiori, dico sempre: «Sanremo è Sanremo».
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