GELA – Precipita la vertenza degli operai dell’Eni a Gela, che da giorni picchettano gli ingressi del Petrolchimico contro l’ipotesi di revoca degli investimenti programmati per 700 mln e la chiusura dello stabilimento. Anche se il vice ministro allo Sviluppo, Claudio De Vincenti, prova a stemperare il clima rovente: «Capisco le preoccupazioni», ma «non c’è da fare allarmismi». L’azienda, spiega dopo la riunione al Mise, «ha dato indicazioni importanti sull’intenzione di investire», perciò «ho invitato Eni a presentare quanto prima un vero piano industriale». A breve nuovo appuntamento al Mise.
Ma dopo la rottura ieri sera delle trattative tra il cane a sei zampe e i sindacati, la rabbia sta montando sempre di più ed è già stato indetto uno sciopero generale allo stabilimento entro il 20 luglio. Gruppi di operai, stamani, si sono spostati ai cancelli della consociata dell’Eni, «Green Stream», con l’obiettivo di bloccare il gas che proviene dalla Libia attraverso il metanodotto sottomarino, fermando l’attività nel terminale di arrivo e di rilancio del metano, destinato alla rete nazionale. «Se l’Eni vuole la guerra a Gela l’avrà su tutti i campi, non solo nella raffinazione ma anche nella ricerca dei giacimenti, nell’estrazione del petrolio e nell’approvvigionamento del metano» minacciano i lavoratori.
Fra qualche giorno si potrebbero fermare le pompe di estrazione del petrolio perché, in conseguenza del blocco del porto e delle spedizioni, i serbatoi di raccolta dei «centri oli» sono ormai quasi pieni. E se le proteste dovessero fermare il gasdotto «Greenstream» che porta il metano dai giacimenti della Libia all’approdo italiano verrebbero a mancare 10 miliardi di metri cubi di gas: due miliardi per l’Italia e 8 per gli altri Paesi, in prevalenza la Francia.
Insomma, la tensione è alle stelle. E la riunione di oggi ha alimentato le preoccupazioni. Se ne fa interprete il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, al termine del vertice. «Si prevedono solo tagli nel Mezzogiorno, questo è totalmente inaccettabile; ora aspettiamo che l’Eni consegni il piano industriale, ma se l’intenzione è chiudere Gela e Priolo, la Sicilia non ci sta», dice. Crocetta, pressato dai sindacati siciliani, è netto: «Chiederemo un risarcimento miliardario se l’Eni confermerà nel piano industriale l’intenzione di abbandonare la Sicilia». Perché «l’isola non può essere trattata come un limone: da un lato contribuisce col 70% alla produzione di petrolio estratto in Italia mentre si continuano a chiedere nuove autorizzazioni per i pozzi e dall’altro si pretende che poi la raffinazione venga fatta al Nord Italia: questa è una scelta inqualificabile». Inoltre, «la chiusura danneggerebbe non solo l’occupazione ma anche la Regione per i mancati introiti legati alle attività produttive«. «No», quindi, «a piani futuristici e promesse d’investimenti». «Prima l’Eni investa, bonifichi le aree e tutto questo comporta dei tempi», afferma il governatore. Che assicura: «Non si ripeterà più quanto accaduto a Termini Imerese con la Fiat, questo giochetto l’abbiamo già subito, un film già visto: prima investimenti, poi si tratta».