A constatare l’effettiva chiusura dei locali ieri mattina, al capannone del call center sono arrivati anche i carabinieri della Stazione di Paternò, chiamati dai lavoratori. Non finiscono, dunque, i problemi per l’azienda più grande del territorio cittadino, alle prese con un buco da oltre 6 milioni di euro e una società che ha deciso di mollare. Il risultato sono 600 lavoratori rimasti a casa da quasi un mese con un futuro assolutamente incerto.
Nonostante le tante paure i lavoratori non mollano ed è per questo che ieri mattina, nonostante lo sciopero ad oltranza indetto dai sindacati di Cgil e Cisl, si sono presentati in azienda, decisi a riprendere la loro attività.
Rimasti fuori dai cancelli, dopo alcuni minuti trascorsi ad aspettare soluzioni che non sono arrivate, sono andati via. I rappresentanti sindacali, invece, si sono presentati nella caserma dei carabinieri di Paternò.
Un clima di rabbia si respira tra gli operatori; attendono, sperano, temono. Nonostante l’impegno dei sindacati, il difficile compito svolto di mediazione e cucitura con incontri a Roma, a Catania e Palermo, la soluzione non arriva.
La politica non è riuscita ancora a fornire quelle risposte attese. Si attende, in particolare, l’incontro al MISE (il Ministero per lo Sviluppo economico) ma ad oggi da Roma non ci sono notizie. I lavoratori devono aspettare, ancora, quanto tempo nessuno lo sa.
“Con gli operatori presenti questa mattina (ndr. ieri per chi legge) al lavoro si sarebbero potute coprire le necessità di tutte le commesse – evidenzia Antonio D’Amico, della Cisl di Catania -, invece, ai dipendenti gli è stato materialmente impedito di lavorare. Della chiusura dell’azienda abbiamo informato i carabinieri di Paternò che hanno constatato l’effettiva chiusura dei cancelli. Informeremo dell’accaduto anche la Direzione territoriale al lavoro.”
Una denuncia forte, questa dei rappresentanti sindacali Antonio D’Amico (Cisl), Natale Falà (Cgil), Valentina Borzì e Giovanni Arcidiacono (Rsu della Cgil).
Azienda chiusa, dunque, con i motivi da ricercare nel ritorno dei locali del call center di contrada Tre Fontane al proprietario, l’azienda DB group, con il QE’ che da mesi non paga l’affitto.
Del resto Franz Di Bella, titolare dei locali, l’ha più volte ribadito nei mesi scorsi, l’ultima volta anche in Prefettura a Catania. La disponibilità dei capannoni, per andare incontro alle esigenze dei lavoratori, in attesa della risoluzione della vicenda, sarebbe scaduta il 30 settembre.
Oggi 3 ottobre i locali tornano liberi e soprattutto disponibili sul mercato.
Qui l’interrogativo. I locali di Tre Fontane sono appetibili anche per altri call center, e se qualcuno avanza alla DB group proposte d’affitto o di vendita? Se la disponibilità dei locali sfumerà improvvisamente come si risolverà la vicenda QE’? Che fine faranno i lavoratori? Un problema, questo che nessuno sembra aver affrontato con la dovuta tempestività.
Da Roma intanto silenzio, quando occorre invece far presto. La politica è chiamata a dare risposte immediate e non solo a prendere tempo. Vi sono 600 posti di lavoro a rischio, con i dipendenti oggi sull’orlo del precipizio; c’è un territorio, quello paternese, che rischia di perdere un ulteriore pezzo sul quale si regge la sua economia, con gravi ripercussioni anche in termini occupazionali.
Si deve far presto. Non è più tempo di passerelle, di foto di scena e dichiarazioni di facciata. La politica deve intervenire ora.
Porte chiuse a paternò.
I dipendenti del Call Center davanti ai cancelli chiusi dell’azienda per cui lavoravano.