Palazzi, burocrati, autolinee e rifiuti ecco tutti i fronti aperti per la Regione

Di Mario Barresi / 12 Gennaio 2015

CATANIA – «Sto andando in Procura a denunciare uno scandalo». Detto, fatto. Decine di volte. Ma Rosario Crocetta – al netto dell’indubbio effetto-annuncio, spesso sfruttato nelle fasi di maggiore debolezza politica – nel suo “tiro alla manciugghia” ci ha azzeccato; spesso ma non sempre. Dai finti poveri fra i precari Pip alla gara per la fornitura dei pannoloni all’Asp di Palermo, fino alle ruberie nella formazione. Molte delle «carte bomba» che il governatore, con fare tutt’altro che circospetto, ha consegnato ai magistrati sono diventate spunto o svolta per inchieste importanti. Talvolta no, come – in base agli atti finora venuti fuori – nel caso del viaggio in Canada di un dirigente regionale e nelle speculazioni edilizie per la costruzione del nuovo ospedale di Siracusa.
 
Eppure, a Palermo, i vasi comunicanti fra Palazzo d’Orléans e il Palazzo di giustizia hanno di fatto segnato la storia siciliana degli ultimi due anni. E proprio questo rapporto, in una Regione in cui gli ultimi due predecessori di Crocetta sono uno condannato e uno sotto processo per cose di Cosa Nostra, è delicatissimo. L’ultima denuncia del presidente, come dettagliato sabato dal nostro giornale, riguarda l’indagine sulle speculazioni sui palazzi della Regione nella gestione di Sicilia Patrimonio Immobiliare (Spi): 34 immobili di proprietà della Regione, con un ricavato di appena 226 milioni di euro, mentre secondo altre stime il valore reale sarebbe stato di 400 milioni di euro. Insomma, i «gioielli di famiglia», tra i quali le sedi degli assessorati al Bilancio, Turismo, Sanità, Infrastrutture, Famiglia, Industria, Azienda foreste, ecc. sarebbero stati ceduti, per un piatto di lenticchie, alla società Pirelli Re che li riaffittò alla stessa Regione per 13 milioni e 600 mila euro l’anno. «Ma questo è soltanto uno dei dossier presentati alla Procura. Certo, il più importante per il danno economico e per la caratura nazionale dei personaggi coinvolti, ma non è l’unico spunto consegnato ai magistrati», sussurrano a Palazzo d’Orléans.
 
Un rapporto intenso e continuo, quello fra il presidente della Regione e la Procura di Palermo, che però da venerdì scorso registra un cambio di registro. Un «basso profilo» con la stampa, chiesto dal nuovo procuratore Franco Lo Voi al governatore. Che ha subito rispettato la consegna, resa poi inutile dalle indiscrezioni comunque trapelate, ammettendo ai giornalisti che lo tampinavano a Palermo e poi a Catania di non poter parlare «perché il procuratore ha chiesto il massimo rispetto sul segreto istruttorio». E a Palermo c’è anche chi sostiene che, dopo l’incontro nella stanza del procuratore, sia partito da Crocetta stesso l’input per annullare la convocazione di una conferenza stampa sul contenuto della denuncia. Sono le nuove regole, vademecum di un rapporto obbligato col palazzo di giustizia.
 
Un feeling che ha dato qualche segno di crisi dopo la nomina del pm palermitano Vania Contrafatto ad assessore regionale, contestata dal collega Leonardo Agueci, il quale premettendo che «non è un fatto personale», sostenne che la scelta «scredita tutta la magistratura».
 
Ma il lavoro della Procura di Palermo, a maggior ragione dopo l’arrivo di un capo definito «rigoroso e preciso da spaccare il capello» da molti colleghi togati, continua a testa bassa. Su vicende al di fuori del “denuncificio” crocettiano, ma anche su fascicoli che coinvolgono il governo regionale e l’Ars. Gli incarichi alle società per il Piano Giovani e il flop del “Clickday”, ma anche le assunzioni a Sicilia e-Servizi e le gestioni allegre delle Partecipate; fino alla nota rimborsopoli di Sala d’Ercole, con vacanze e mutande comprate con i fondi dei gruppi parlamentari. L’ultimo fronte aperto conosciuto è quello degli scatti d’oro (legati al servizio militare) a 30 burocrati di Palazzo dei Normanni. L’altro filone – un dossier corposo, ma non ancora ufficiale – riguarda i contributi milionari alle autolinee private degli autobus, talvolta per corse “fantasma”.
 
Il fronte più caldo resta però quello dei rifiuti. Con le storie maleodoranti già emerse sulle discariche catanesi e messinesi. Ma soprattutto con tutto ciò che bolle in pentola, nelle Procure della Sicilia orientale: malaffare e mafia, imprenditori burocrati e amministratori, tutti uniti in un’inchiesta aperta da mesi e rinfocolata sia dal racconto di collaboratori di giustizia, sia da carte uscite sempre dai palazzi della Regione. «Fare l’assessore ai rifiuti in questa regione può essere pericoloso come indagare sulle stragi di mafia», disse nel novembre del 2013 l’allora assessore Nicolò Marino. Il quale, in attesa di essere ascoltato dalla commissione nazionale Antimafia anche alla luce della pesante intervista al nostro giornale sui «padroni dei rifiuti in Sicilia» in cui tirava in ballo i vertici di Confindustria che lo hanno querelato, starà riflettendo su quel «può essere pericoloso». Parole profetiche; nel bene e nel male.
 
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