Che tecnica raffinata hanno nel rubare questi galantuomini del Nord! Li si scoprono quasi sempre, ma hanno la faccia tosta di farsi persino stipendiare a suon di milioni. E non che siano pesci piccoli, anzi di gran peso. Ex ministri, sindaci, assessori, manager, imprenditori e, addirittura, persino chi li doveva controllare e cioè magistrati e generali.
Gli scandali di Expo 2015 e del Mose, gli ultimi della serie, ci dicono come al peggio non c’è mai fine. A loro confronto quelli di casa nostra sembrano dei ladri di polli. Solo che lì al Nord, rubano perché circola un po’ di denaro (le grandi opere quelle che mancano a noi), qui al Sud rubano ai poveracci che non hanno neanche un lavoro. Paradossalmente, non vi scandalizzate del paragone, se la Sicilia sta alla mafia, Milano Venezia e dintorni stanno alla grande corruzione. E poi c’è l’alta finanza: non vi dicono niente gli scandali Carige e Monte Paschi?
Qui in Sicilia, i protagonisti sono piccoli uomini, una volta si chiamavano volgarmente «ladri di passo». Lo stesso recente scandalo della Formazione ha visto politici, galoppini, presunti manager e persino mogli, fare la cresta a quella che doveva essere la speranza per i molti senza lavoro.
Questo «affare» ha portato in galera l’on. Genovese per una somma inferiore al milione, che a confronto con lo «stipendio» milionario, almeno così dice l’accusa, percepito dall’on. Galan, sembra persino ridicola. Per non parlare di tutti gli uomini della combriccola dai quali i partiti (vedi il Pd) ora prendono le distanze. La verità è che abbiamo a che fare con ladri.
Piccoli e grandi che siano. Anzi molti di questi si danno alla politica proprio con tale scopo. E, come dice Renzi, davanti ai furfanti non esistono leggi che tengano.
In una casa puoi mettere tutti gli allarmi che vuoi, ma se il ladro vuole entrare non c’è nulla che lo ferma.
Se in Sicilia alle ruberie aggiungiamo l’incapacità di governare quel poco che c’è, allora dobbiamo dare ragione a chi non crede più a nulla. Andiamo per esempi. L’ultimo spreco lo scopre la Corte dei Conti. La quale rileva una «per- C versa logica di salvataggio a tutti i costi» delle società partecipate obsolete dove la Regione mette tanti i soldi. Tredici di queste da tempo attendono di essere liquidate.
Nel frattempo divorano oltre sette milioni l’anno tra stipendi, consulenze, organi societari. Secondo la Corte dei Conti le società partecipate, in tutto 34, hanno una incidenza del 45% sul totale delle perdite della Regione in questo settore con un danno negli ultimi quattro anni di ben un miliardo e 79 milioni. Trasparenza vuole che sia venuto il momento di pubblicare, noi lo faremo gratuitamente, i bilanci, in particolare di quelle tredici società che da anni attendono di essere liquidate. Sarebbe il nostro un servizio ai siciliani, anche per capire come sono stati spesi i soldi, quali vantaggi ha avuto la collettività, e perché, nonostante siano decotte, ci sono ancora difficoltà a metterle in liquidazione.
Davanti a tutto questo sfascio, l’altro giorno abbiamo scritto di ritenere ingenuo l’intervento-appello del sen. Scavone a difesa dello Statuto autonomista della Regione messo in discussione dal governo Renzi. Il senatore spiega in una sua lettera il perché di questa sua iniziativa. In linea di principio può avere anche ragione, dato che lo Stato non ha mai saputo o voluto garantire i diritti del Sud (a proposito, gli ultimi rilevamenti dell’Istat parlano di un Pil a meno 4) e della Sicilia in particolare, però, senatore Scavone, cosa abbiamo fatto noi per difendere questi diritti? Non siamo stati i primi a calpestarli? L’esempio citato sopra delle società inutili lasciate in vita solo per distribuire denaro, conferma come questa Autonomia non ce la meritiamo.
Tutte le iniziative possono avere magari un intento nobile, ma, purtroppo, la nobiltà non è più di casa dalle nostre parti. C’è il caos e non c’è nessuno che indichi la rotta giusta a questo carro di Tespi, affollato di corrotti, nullafacenti, imbroglioni, malviventi, saltimbanchi.
Se non cambiano gli attori, lo spettacolo sarà sempre lo stesso. Squallido. Alla Sicilia resterà che guardare, pagando persino un biglietto troppo caro per la travagliata vita della sua gente.