Nord e Sud del mondo sono sempre stati divisi da solide maglie culturali. Accade anche in Italia ovviamente, specie in questo periodo storico e il cibo a volte divide invece che unire. La battaglia si combatte a colpi di clic e dichiarazioni pungenti e il teatro di questa novella Fort Sumter sono i social. Di recente un impavido Ciccio Sultano, fiero cartografo gastronomico dell’isola, risponde alle dichiarazioni del suo famoso collega veneto Carlo Cracco in materia di cucina del Nord e del Sud. Secondo Re Carlo, santificato dalle patatine, i cuochi del Nord sarebbero obbligati a una maggiore innovazione a discapito di quelli del Sud che possono “adagiarsi” maggiormente su solide basi culinarie. Il Sultano non ci sta e fa notare al “fu giudice di Masterchef” che si può innovare pur detenendo ataviche tradizioni. La querelle mediatica lascia spazio a una grande riflessione. Esiste davvero una “mano” diversa fra Sud e Nord?
La risposta è sì. Da sempre le cucine del Nord hanno dovuto lottare contro un grande gap: una terra diversamente produttiva, importando la stragrande maggioranza di frutta e verdura e imparando a utilizzarla in modo meno mediterraneo. Gli intrepidi che hanno invece deciso di orientarsi verso ciò che la loro terra produce hanno dovuto fare i conti con varietà ortofrutticole minime per via di una carenza di sole evidente. In questo i cuochi del Nord ci hanno regalato grandi esempi di genialità, come René Redzepi, avanguardista e innovatore assoluto. Da lui si possono gustare piatti il cui protagonista è l’olio di ribes nero oppure i trifogli acetosi dei boschi danesi per proseguire con un’insalata di alghe e formiche e concludere con una deliziosa (e lo è davvero) torta di plankton. Ma non pensate sia un folle o uno sprovveduto. Il danese Redzepi, co-proprietario del ristorante Noma di Copenaghen, è stato premiato con 2 stelle Michelin ed eletto per ben quattro volte miglior ristorante del mondo secondo la classifica annuale del The World’s 50 Best Restaurants.
E nel Bel paese chi sono gli sperimentatori? Troviamo fulgidi esempi in tutto lo stivale. Enrico Bartolini che al suo flag-ship restaurant al terzo piano del Mudec di Milano ha riportato le ambite tre stelle nella capitale lombarda che mancavano dai tempi di Gualtiero Marchesi (per altro maestro di Cracco). Se parliamo di sperimentazione Davide Scabin resta il più grande di tutti. Un cuoco che sta all’innovazione come Michael Jordan alla pallacanestro: “Cyber egg”, “Rognone al gin” e “L’ostrica virtuale”. Quest’ultima è talmente geniale da essere classificata come uno dei piatti simbolo della nuova ristorazione: l’ostrica non esiste, è totalmente evocativa e si compone in bocca attraverso la masticazione degli ingredienti del piatto ossia anguria, bottarga di tonno e scagliette di mandorle tostate. Come non citare il numero uno secondo il 50 Best, Massimo Bottura che ha portato sul tetto del mondo la grande tradizione italiana con piatti spregiudicati come “La parte croccante della lasagna” e Heinz Beck, che a Roma mantiene le tre stelle dal 2005, con i suoi “Fagottelli alla carbonara” dove la carbonara è tutta all’interno della sfoglia ed ha la consistenza di una salsa entusiasmante.
Al sud Gennarino Esposito grazie alla “Variazione di pasta con pesce crudo” ha fatto deragliare uno dei grandi luoghi comuni del napoletano. E in Sicilia? Pino Cuttaia, che vede il mare come un orto, a Licata gioca da tempo con la tradizione, raccontando storie in ogni piatto. Esempi fulgidi sono il mitico “Uovo di seppia” e il “Quadro di alici”, una vera e propria opera gastronomica in cui la bellezza dell’estetica si tuffa nella freschezza delle materie prime coinvolte. A Bagheria brilla Tony Lo Coco con la sua incredibile “Stigghiola di tonno”, sull’Etna Giovanni Santoro con il suo risotto mantecato alle erbe, pere dell’Etna e riduzione alla malvasia, a discapito di chi pensa che il risotto lo sappiano fare solo al Nord. A Catania il giovane Alessandro Ingiulla, unica e meritata stella Michelin della città, stupisce osando con un tonno “abbuttunato” con ricci, polvere di alghe e brioche tostata. Chiudiamo con Ciccio Sultano fra i grandi innovatori della nostra cucina. Dal suo nuovo menù “Dominazioni” svettano la “Scaccia non scaccia”, un omaggio alla cucina ebraica e il “Timballo del Gattopardo” ispirato al romanzo di Tomasi di Lampedusa: una profumata pasta brisè con all’interno fois gras, maccheroncino, piccole uova, polpettine e prosciutto. Sopra del petto di piccione crudo irrorato dal sugo delle feste. Usciamo quindi dal raccapricciante binomio tradizione Sud e innovazione Nord. Oggi si innova con memoria ed emozione. Concetti contemporanei sui quali la nuova cucina italiana sta scrivendo pagine di storia importanti da Nord a Sud, specie in Sicilia… con buona pace di Cracco.