Un tuffo in un altro mondo che fa di questo storico mercato nel cuore della città un luogo imperdibile, tanto che oggi, sulla pescheria si potrebbe giocare una partita fondamentale per lo sviluppo turistico.
La pescheria di Catania come la Boqueria di Barcellona o il Borough market a Londra, il bazar delle spezie ad Istanbul o il mercato centrale di Budapest? Luoghi storici e vivi al tempo stesso, in cui il mercato è ancora mercato, al servizio della comunità e del quartiere. Strutture al coperto, certo, che non hanno perso, però, il contatto con gli abitanti della zona, con il territorio, che sono cresciute in termini di qualità dell’offerta dei prodotti, e che sono diventate, anche per questo, grandi attrazioni turistiche. Paragoni impossibili e lontani? Forse.
Certo, anche a Catania sono stati i ristoratori, i primi a cambiare volto alla pescheria, a farla vivere anche di sera. Trattorie che hanno chiuso e poi riaperto, locali nuovi o semplicemente “trasformati”, vecchi magazzini per il ricovero dei banchi che hanno lasciato il posto ai tavolini, nella stessa piazza dove, appena qualche ora prima, si sguazza sulle basole viscide d’acqua e di scarti di pesce.
Un boom, un business a traino privato, come sempre accade. Gente che scommette su un’idea e la porta avanti, magari in solitudine. Perché sulla pescheria, a tutt’oggi, non c’è un progetto vero, un’idea che possa farne, un domani , qualcosa di più che un semplice suq con il solo fascino dell’arretratezza come principale attrattiva.
Eppure a giudicare dai tanti locali che stanno aprendo come funghi i tempi sarebbero anche maturi per capire che un salto di qualità è possibile. Il problema è sempre quello di trovare un equilibrio fra la tradizione del mercato antico e la dimensione del futuro. Oggi che tante botteghe della pescheria hanno chiuso, che il mercato al dettaglio langue perché la maggior parte delle persone preferisce la rassicurante quotidianità degli scaffali dell’hard discount, oggi è forse il momento di guardarsi in faccia e provare a comprendere cosa potrebbe rappresentare questo posto. Senza che trascorrano 30 o 40 anni prima che qualcun altro ce lo venga a spiegare. Ad aprire il libro dei sogni della pescheria c’è sicuramente la nuova mecca della “movida”, attirata dal cibo di qualità, ma anche un mercato più moderno grazie alle nuove tecnologie per la conservazione degli alimenti. La pescheria meriterebbe eccellenza e qualità. Meriterebbe attenzione e coccole, servizi e meno burocrazia, navette e isole pedonali che non la confinino in un ghetto invalicabile. Meriterebbe un “direttore d’orchestra” con le idee chiare, come chiedono alcuni degli imprenditori che qui hanno compreso, prima e meglio dei “local”, le grandi potenzialità di questo luogo ipotizzando magari anche uno spostamento del mercato in una struttura al coperto del porto. Un’eresia per gli innamorati della “catanesitudine” che ancora esiste e resiste tra i banchi del pesce, un sacrificio “necessario” per chi vorrebbe salvaguardare, e non solo economicamente. Meno folklore e più Europa? Più turismo e meno abusivismo?
La scommessa sul futuro della pescheria passa dalla capacità di trovare un punto d’incontro tra questi mondi che apparentemente sembrano lontanissimi, soprattutto a Catania. Una cosa è certa. Nessuno può negare l’enorme capacità attrattiva di un luogo e di un quartiere tutto, in piena trasformazione. Fino a vent’anni fa, un palazzo in rovina di via Gisira serviva da deposito per gli ambulanti e da magazzino dei i cd taroccati. Oggi ci si può dormire, in stanze d’arte. E più i turisti si addentrano nelle vie del mercato storico, più gli stessi venditori provano ad adeguarsi. Le mandorle di Avola, il pistacchio di Bronte, oggi vengono offerti in parallelo alle mandorle californiane e al pistacchio iraniano, un prezzo maggiore per una qualità maggiore. E c’è qualche commerciante che te lo sa anche spiegare. Si sta facendo strada (ma con quanta lentezza!), la consapevolezza che la qualità dei prodotti innalza anche l’interesse di chi compra. Una pescheria mercato alimentare della città e anche punto di riferimento per mangiare siciliano, degustare prodotti tipici o imparare a cucinare la pasta alla Norma. Sarebbe una fiaba. E non solo per i turisti.