CATANIA – Forse si poteva capire prima che Nicole fosse grave; forse non era nelle condizioni di essere trasportata a Ragusa; forse la ricerca delle “termoculle” in terapia intensiva neonatale presenta delle «omissioni» nel misterioso “triangolo” di telefonate fra clinica, 118 e le cinque Utin contattate; forse c’era davvero qualche posto e non è stato cercato o comunicato in tempo. Una lunga serie di «forse». Alcuni dei quali, col passare delle ore, diventano sempre meno «forse». Anche perché la Procura di Catania, nell’inchiesta per omicidio colposo aperta sulla morte di Nicole Di Pietro, non risparmia energie. Al lavoro anche di domenica, il procuratore Giovanni Salvi, con i sostituti Alessandra Tasciotti e Angela Brugaletta (esperta in reati sanitari) e l’aggiunto Giuseppe Toscano (specialista sulla pubblica amministrazione).
Ci sono già i primi indagati, sono nove e rispondono tutti di omicidio colposo. Si tratta di medici che hanno operato tra la clinica e il trasferimento in ambulanza della piccola, di personale persone del 118 e di personale delle unità di terapia intensiva neonatale.
Sono 5 medici della clinica “Gibiino”: Antonio Di Pasquale (pediatra), Giovanni Alessandro Gibiino (anestesista), Maria Ausilia Palermo (ostetrica-ginecologa) e i due rianimatori intervenuti dopo il parto, Sebastiano Ventura e Adolfo Tomarchio.
I due del 118: l’infermiere del 118 Vincenzo Mirabile, operatore di turno alla centrale quella notte e la dirigente del 118 per Catania-Ragusa-Siracusa, Isabella Bartoli.
I due delle aziende ospedaliere catanesi: infine i due medici di guardia alle Utin: Salvatore Cilauro e Alessandro Rodanò, rispettivamente in servizio al Policlinico universitario e al Santo Bambino. Cilauro e Rodanò sono accusati anche di omissione in atti d’ufficio.
Ieri pomeriggio alla presenza degli avvocati difensori degli indagati è stato conferito l’incarico per effettuare l’autopsia che si terrà oggi alle 15,30 all’obitorio del “Paternò-Arezzo” di Ragusa, affidata al medico legale Giuseppe Ragazzi, alla ginecologa Claudia Giuffrida e alla specialista in neonatologia e rianimazione, Eloisa Gitto. «Stiamo verificando – ha ribadito il procuratore – le responsabilità penali. È una vicenda dolorosa e occorrerà tempo».
Ma il lavoro su cartelle e testimonianze comincia ad avere alcuni punti fermi. A partire dalle condizioni della bimba. «Asfittica da parto spontaneo», è la definizione. Uno status giustificabile con «sofferenze particolari» (in questo caso assenti), ma che di solito presenta dei “segnali” nei giorni o nelle ore precedenti al parto, se non addirittura già in gravidanza. Per questo polizia e magistrati leggono tutti gli esiti di ecografie e “tracciati” sulla madre, Tania Egitto. Ma il direttore sanitario della “Gibiino”, Danilo Audibert, ha affermato che «nel travaglio e nel parto era tutto nei limiti della norma e non c’era nessun segnale di allarme».
All’1,18 nasce Nicole. Con un indice di “Apgar” (test che misura la vitalità del neonato attraverso frequenza cardiaca, respirazione, tono muscolare, riflessi e colore della pelle) pari a 3 su 10. Ovvero «gravemente depressa». Si interviene subito sulla neonata, che «era stata stabilizzata, senza dubbio, questo me l’hanno confermato il nostro neonatologo e l’anestesista rianimatore», dice il direttore sanitario. Ma quando Nicole – alle 3 circa, dopo quasi due ore meno un quarto dalla nascita – parte per Ragusa l’“Apgar” oscillerebbe fra 4 (ancora nel range di «gravemente depressa») e 5 («a rischio», quindi «bisognosa di assistenza, vigilanza e ripetizione del test ogni cinque minuti»).
Perché s’è deciso allora di affrontare il lunghissimo viaggio per Ragusa? Sentito all’alba di giovedì, l’anestesista presente in ambulanza, Giovanni Alessandro Gibiino (membro della famiglia dei titolari della clinica) avrebbe ammesso che «mi sono affidato al collega neonatologo». Ovvero: Antonio Di Pasquale. Il quale, però, ha spiegato alla polizia di «aver fatto tutto ciò che si poteva e doveva fare per salvare la bimba».
“Assolta” l’ambulanza – mezzo privato, non del 118 – scandagliata dai rilievi della Mobile di Ragusa. C’era la “termoculla”, fornita dalla clinica; respirazione garantita, seppur non con ventilazione automatica, ma manuale, con il cosiddetto “pallone di Ambu”. La Procura conferma che le caratteristiche «sono risultate idonee» e «il mezzo è stato presidiato da medici rianimatori».
Ma restano da sciogliere alcuni nodi. La morte – registrata alle 3,40, «dopo numerose manovre respiratorie» – sarebbe avvenuta, come conferma anche l’autista, «nei pressi della stazione di servizio di Coffa», e quindi in territorio di Chiaramonte Gulfi. A meno di mezz’ora da Ragusa, dove il mezzo invece arriva alle 4,50: un’ora e 10 minuti dopo. Perchè? E si rivolge alla Neonatologia del “Paternò–Arezzo”. Dove la dottoressa di turno, allibita per la strana procedura, indirizza il mezzo all’obitorio.
Altro dubbio: e se dopo appena 40 minuti di viaggio si trovasse ancora in territorio etneo? Doveva tornare indietro, visto che un’ambulanza, per legge, non può trasportare un cadavere se non verso l’ospedale più vicino. Che sarebbe stato quello di Lentini. Lo stesso utile – dettaglio da non sottovalutare – anche per un estremo tentativo di salvare la bimba, dopo la seconda crisi respiratoria, alle 3,30 circa, quando l’ambulanza era a una quindicina di minuti di strada dalla struttura aretusea.
La Procura parla di «responsabilità dirette nel decesso». Il parto e l’attività della clinica, certo. Ma, tirando in ballo il 118, anche le «ipotesi omissive relative a comportamenti che possano aver contribuito all’evento per l’individuazione dell’unità di rianimazione, in relazione alle informazioni ricevute circa le condizioni critiche in cui versava la bambina».
Insomma, i pm catanesi non fanno sconti. Nemmeno agli ospedali. Perché, nell’altro profilo di responsabilità, ci sono potenziali omissioni «con riferimento alla messa a disposizione delle unità di rianimazione neonatale, alle segnalazioni di insufficienza di quelle funzionanti, alla previsione di meccanismi atti a far fronte ad emergenze nella situazione data». E sullo sfondo un’ipotesi, tutta da confermare, ancor più grave: che qualcuna delle Utin non sia stata davvero contattata in tempo utile. Prima di quell’ultimo – inutile – viaggio della morte.
Intanto, il dipartimento per le attività sanitarie della Regione siciliana, in raccordo con l’assessore alla Salute, Lucia Borsellino, ha avviato il procedimento di sospensione dell’accreditamento delle attività di ricovero finalizzate al parto nella Casa di cura Gibiino di Catania. «Le motivazioni del provvedimento – si
legge in una nota – risiedono, tra l’altro, nelle incongruenze emerse nelle scelte di gestione del rischio clinico della Casa di cura a seguito dell’esame delle registrazioni della Centrale operativa 118 e nella esiguità del numero dei medici pediatri operanti nella struttura a fronte di oltre 600 parti annui».
twitter: @MarioBarresi