C’è chi comincia per seguire una passione, chi per fare “lo splendido” a tavola con gli amici, chi – e sono sempre di più – ci mette testa, cuore e fatica nel farne una vera e propria professione per la vita.
La figura del sommelier cresce e, con essa, le potenzialità occupazionali di un mestiere diventato indispensabile nel mondo della ristorazione di livello.
E sono sempre di più quelli che partono dall’Italia per approdare in Inghilterra, in particolare a Londra. Il primo obiettivo è imparare la lingua, poi conquistano posti di responsabilità, e si ritrovano ad “insegnare” il vino italiano (e non solo) nel mondo.
Salvatore Castano, 27 anni da Giardini Naxos, è capo sommelier di “Mash” una delle migliori steak house della capitale inglese nella zona di Piccadilly che, tra i numerosi riconoscimenti, può vantare anche quello per la miglior carta dei vini.
Castano si è “laureato” sommelier con l’Ais (Associazione italiana sommelier) a Catania e, grazie al suo lavoro, ha già girato mezzo mondo lavorando negli hotel e ristoranti di lusso. Una carriera partita dal Timeo di Taormina.
«Mi è sempre piaciuto il mondo del vino – racconta in una breve pausa a casa prima di rientrare a Londra – e, dopo il diploma all’alberghiero “Giovanni Falcone” di Giarre, ho cominciato a studiarlo con l’Ais (Associazione italiana sommelier), con Camillo Privitera e Maria Grazia Barbagallo, poi sono andato in Inghilterra per imparare l’inglese. Al rientro, ho cominciato a lavorare a Taormina al Grand Hotel Timeo che era stato appena acquistato dalla catena di hotel di lusso Belmond. Di lì, ho iniziato a girare con loro. Sono stato a Firenze, Portofino e ai Caraibi, poi sono arrivato a Londra dove ho lavorato anche nel locale di Alain Ducasse».
Ed è rimasto…
«Quando sono arrivato lì mi si è aperto un mondo. Ho capito che in Italia non avevo studiato ancora niente. Con l’Ais, in Italia, impari tanto sui vini italiani, ma sul resto del mondo c’è poco. A Londra, invece, trovi i vini da tutto il mondo, australiani, americani, spagnoli, impari un po’ tutto».
Quindi la scelta di Londra è stata un caso?
«Londra a me non piace, sono andato lì perché la mia ragazza aveva finito l’Università e voleva andare a perfezionare un po’ l’inglese. Così ci siamo detti “vabbè, facciamo un’esperienza per un annetto”, ma sono già tre anni che siamo lì. Lei ha fatto il liceo linguistico a Catania e l’università».
Oggi rifarebbe la stessa scelta?
«Assolutamente. Anzi la ringrazio. Senza di lei non sarei arrivato a questi livelli. Proprio adesso ho iniziato un master sempre nell’ambito del mio lavoro di sommelier».
Come bevono gli inglesi?
«Sul vino bianco sono veramente patiti di Sauvignon blanc, specialmente “Marlborough”, e i vini della Nuova Zelanda; per il rosso sono amanti del Malbec argentino e dei vini francesi».
E l’Italia come si piazza?
«Dopo i vini francesi».
La Sicilia?
«Adesso stanno iniziando a conoscere i vini dell’Etna, tutti ne parlano e, per un siciliano, è una grande soddisfazione. La Sicilia stiamo cercando di sponsorizzarla, però i vini più conosciuti sono quelli di Piemonte, Lombardia e Veneto».
Si sente un cervello in fuga?
«Purtroppo sì, devo dirlo. Da questo Paese troppi giovani se ne stanno andando e non posso che dare loro ragione. Lo Stato non sta facendo niente per i ragazzi, quello che impari e la carriera che fai all’estero in Italia non potresti riuscire a farla. Questa è la realtà».
Il ristorante in cui lavora che tipo di cucina propone?
«E’ basato più che altro sulla carne. Abbiamo della carne pazzesca, perfino il Kobe giapponese (il pregiatissimo bovino giapponese allevato ascoltando musica classica e la cui carne è massaggiata con la birra ndr) ma anche carne danese, americana, uruguaiana, australiana, scozzese, ovviamente, inglese».
Quindi vini rossi…
«Maggiormente sì, cerchiamo di sponsorizzare soprattutto vini americani la mia wine list ha circa 900-1000 etichette di cui 500 Usa con grandi etichette di vini californiani, Napa Valley, Sonoma, e così via dicendo. Poi c’è tutto il resto del mondo».
Il suo vino preferito?
«Uno in particolare non c’è, però se vogliamo essere puntigliosi a me piace il Riesling tedesco della Mosella, Germania. Secondo me lì c’è la migliore espressione di questo tipo di vino».
Dove si vede da qui a dieci anni?
«Sul gradino più alto. Fra i migliori sommelier al mondo. Speriamo».