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Massimo Campanini «L’Isis? È una bufala Si vuole che esista perché fa comodo»

Massimo Campanini «L’Isis? È una bufala Si vuole che esista perché fa comodo»

Il j’accuse: «Consente di creare l’Islam come nemico»

Di Francesco Mannoni |

Mentre in Libia si fa sempre più minacciosa l’avanzata dei fondamentalisti islamici e dal disastrato e tormentato scacchiere mediorientale i terroristi inveiscono anche contro l’Italia, il commento del prof. Massimo Campanini, orientalista e studioso delle culture islamiche, è lapidario: «L’Isis è una bufala». Il professore, che insegna Islamistica e Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, ed è autore di numerose monografie e saggi che hanno fatto testo come “Oltre la democrazia-Temi e problemi del pensiero politico islamico» (Nemesi editore) e “Islam e politica” (Il Mulino, 320 pp. 25 €) che a metà marzo torna in libreria aggiornato in base alle nuove situazioni che si stanno verificando con il diffondersi del fondamentalismo, spiega: «Dico questo, perché non si sa da dove l’Isis salti fuori: appare improvvisamente come Minerva dalla testa di Giove in un territorio della Siria già immerso in un marasma di guerra civile e dell’Iraq a sua volta uno Stato in fase di disgregazione, e dilaga sempre più temibile e pericoloso».   Ma chi sostiene, arma e foraggia l’Isis? «L’Isis nasce bene armato e ben foraggiato dal punto di vista dei finanziamenti, con alla testa Abu Bakr al-Baghdadi, un galeotto misteriosamente liberato dalle galere irachene dove era rinchiuso da diverso tempo. E in proposito mi chiedo: gli americani che ci hanno messo cinque giorni ad abbattere il regime di Saddam Hussein difeso da uno degli eserciti più potenti del Medio Oriente, perché non riescono ad abbattere l’Isis? Secondo me si vuole che l’Isis esista perché fa comodo».   A chi farebbe comodo, professore? «Fa comodo nella misura in cui consente di creare l’Islam come nemico. Che poi sia stato l’Occidente a crearlo come alcuni hanno detto, senza dubbio l’Isis serve a una certa strategia. Non è verosimile, infatti, che il mondo intero – perché tutto il mondo è contro l’Isis – non sia in grado di annientarlo. Quindi fa comodo che esista, e per questo dico che l’Isis è una bufala».   Chi finanzia principalmente l’Isis? «È stato detto che i denari arrivati all’Isis provenissero dall’Arabia Saudita. Il che è molto probabile, ma guarda caso l’Arabia Saudita è il principale alleato dell’Occidente in Medio Oriente. Questo è un altro elemento che mi lascia perplesso sulla storia dell’Isis. Che poi l’Isis riesca a presentare un messaggio mediaticamente interessante che colpisce la fantasia e l’immaginazione di quelli che poi partono dall’Europa per combattere in Siria, non c’è alcun dubbio, ma che l’Isis rappresenti una minaccia reale in grado di distruggere l’Occidente, mi fa un po’ ridere».   Come si è affermata ed è andata avanti la politicizzazione dell’Islam? «Nell’età contemporanea, dopo la nascita dei Fratelli musulmani in Egitto nel 1928, c’è stata una vera e propria politicizzazione della religione nell’Islam che mancava ormai da molti secoli. Da questo punto di vista è significativo il discorso e la rivendicazione dello Stato islamico contemporaneo. Ma se guardiamo retrospettivamente l’evoluzione del pensiero politico islamico classico, un’idea di Stato islamico non c’è. La mia interpretazione storica è che il pensiero politico islamico si sia dato una formulazione non tanto di Stato islamico, quanto di modelli islamici di fatto».   Modelli di che tipo? «Modelli di Stato ispirati all’Islam, nel momento in cui lo Stato islamico non esiste più o è irrealizzabile o improponibile. Se questa è stata l’evoluzione del pensiero politico islamico classico, si capisce come i Fratelli musulmani in ambito sunnita, e la tradizione sciita dopo l’arrivo di Khomeini, abbiano prodotto un ritorno alla politicizzazione dell’Islam e quindi alla riproposizione del concetto di Stato islamico».   In questo momento, a che punto è la situazione? «La tendenza molto forte che si sta affermando attualmente nel pensiero politico islamico, da parte sunnita in questo caso – ma ci sono anche sciiti -, è quella di rivendicare lo Stato islamico come Stato civile non teocratico in cui vi sarebbe un imperio della legge del diritto. Questo lo dice Qaradawi, uno dei massimi esponenti del mondo sunnita. Sono correnti di rinnovamento, trasformazione e rilettura del pensiero politico islamico, rispetto a quelle che erano le teorizzazioni del pensiero politico classico, che in qualche modo rendono possibile anche il discorso della democrazia».   Una democrazia islamica avvicinabile a quella occidentale? «I teorici che ne parlano da una parte fanno riferimento a concetti incardinati nel pensiero classico, come quelli di consultazione e di consenso che sarebbero i fondamenti di una democrazia islamica. Tendenzialmente, i concetti di consultazione e di consenso possono fare le veci dei principi di rappresentanza e di elezione che sono tipici della democrazia occidentale, ma ci sono delle differenze sostanziali. La prima è che in un’ottica islamica il detentore della sovranità – non del potere – rimane Dio, e qui bisognerebbe fare una differenziazione tra la sovranità gestita da Dio e il potere che è gestito dagli uomini, perché Dio non scende in prima persona a governare e a farsi eleggere presidente della repubblica».   E a questo principio che si rifà l’estremismo jihadista? «Decisamente no. Quello di cui parlo è il pensiero dell’islamismo normale. Lo jihadismo è una esagerazione e una aberrazione che va al di là di quelli che sono i limiti dell’islamismo anche a livello di elaborazione politica. Studio il Medio Oriente ormai da decenni, soprattutto dopo che è finito il periodo del terzomondismo e della decolonizzazione tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, e ho maturato questa convinzione: quando nel Medio Oriente c’erano figure come Nasser, varie correnti hanno cercato di trovare una terza linea alternativa araba – non islamica a quell’epoca, ma araba -, al dominio delle grandi potenze, ma finita questa fase, ho sempre avuto l’impressione che abbia fatto comodo alla strategia dell’Occidente mantenere il Medio Oriente in tensione e il più possibilmente frantumato».

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