CATANIA – «Le eccellenze in Sicilia ci sono sempre state, sono la spina dorsale di questa terra. Il fatto che ogni tanto qualcuno le riconosca e le celebri è di per sé un premio». Marella Ferrera accoglie con entusiasmo l’iniziativa di “Taormina – Culture of Excellence”, che domani le consegnerà a Palazzo Duchi di Santo Stefano il premio “Eccellenza Moda”. Ventidue anni dopo il suo debutto nel fashion system internazionale, quando portò le sue creazioni sulle passerelle di Alta Moda Roma, la stilista catanese parla del suo lavoro e della Sicilia con la passione degli esordi. «Iniziative come queste – dice – sono il giusto riconoscimento anzitutto alla Sicilia e poi ai suoi interpreti, a chi di questa bandiera ha fatto l’abito della propria vita e qui è rimasto, nonostante tutto».
Cominciamo dalla moda. Com’è la donna dell’estate 2015 di Marella Ferrera?
«Colorata, coloratissima, mediterranea. Tanto bianco su cui spiccano colori freschi, come i turchesi. Ricorda, per certi versi, i paesaggi cicladici».
E per il prossimo autunno inverno cosa dobbiamo aspettarci?
«Una selezione di palette che si rifanno all’Ottocento: dei rosa molto speciali insieme a tutta una serie di blu-viola. E poi tanti fiori, legati anche a motivi grafici, grandi righe e tulle stampati».
Che tipo di donna ha in mente quando crea?
«Una donna curiosa, che vuole fare un’esperienza diversa. Del resto il mondo che propongo è questo: un handmade che parte da un mood ma arriva a una definizione personale. È una riconversione di quello che è il sistema della moda, dove fai un modello per riprodurne mille; nella couture uno rimane uno. È un lavoro enorme, ma è questo che fa l’eccellenza».
La sua carriera è cominciata quasi 25 anni fa. Come si fa a trovare sempre qualcosa di stimolante, che interessi il pubblico femminile?
«La visione che mi ha accompagnata in questi anni è stata quella di creare qualcosa che riuscisse a vivere nel guardaroba di una donna, un pezzo importante che può essere indossato tutta la vita. Quando nel ’93 portai sulle passerelle il mio stile siciliano, tutti rimasero colpiti, perché fino a quel momento nessuno aveva osato immaginare la pietra lavica o la ceramica di Caltagirone sugli abiti. E sono creazioni ancora attuali, tant’è che più di vent’anni dopo continuano a chiedermele, anche se oggi ovviamente hanno un mood completamente diverso, ne do una rilettura differente. È come se Marella Ferrera s’ispirasse a Marella Ferrera».
Sperimentazione e recupero delle tradizioni sono la sua cifra stilistica. Quale dei due elementi pesa di più quando crea? Le radici o le ali?
«Nel giardino di casa mia c’è un albero di 250 anni, ha radici possenti che vanno al di là del giardino, che si rapportano perfettamente alla dimensione dei rami. Io sento di somigliargli molto. Per volare in alto devi avere radici profonde, è quasi un’equazione. Nel mio caso le radici sono il mio attaccamento viscerale alla Sicilia, che racconto con coscienza e, se posso dirlo, con una conoscenza che mi viene da anni di ricerca e di sperimentazione».
Si definirebbe una donna volitiva?
«Sicuramente. Soprattutto ho avuto un’educazione antica al lavoro, alla dedizione. Questi sono i remi che mi hanno aiutato a navigare anche nei momenti di grande tempesta, oltre al sostegno delle persone che mi stanno accanto, come mio marito Edo e la mia famiglia».
Parla del suo lavoro come di una passione totalizzante. Ma tutti i grandi amori impongono rinunce. Qual è la sua?
«Vivo nella mia famiglia, che è meravigliosa, ho “figli-nipoti” che sono insostituibili. Però l’idea di avere una famiglia intesa come prolungamento del proprio sé, a questo, purtroppo, ho rinunciato. Sono una figlia che ha colpevolizzato per tutta la vita la propria madre per aver dato troppo al lavoro. Non volevo sentirmi fare gli stessi rimproveri».
Dopo Roma e Milano è tornata a Catania. Perché?
«Oggi non rifarei più questa scelta, me ne sono pentita. Ho fatto bellissime esperienze come quella di restituire alla città l’ex Museo Biscari, ma la città ha avuto una crescita inversa. Il problema non è Catania né la Sicilia. Io sento di remare contro un sistema che sta cercando di appiattire. Oggi vorrei essere ad Abu Dhabi con il mio atelier. Ecco, l’ho detto. Credo che questo sarà il mio prossimo passo».
Non è una frase buttata lì.
«No. L’alba dei miei 60 anni non mi vedrà qui. Non è una scelta immediata, va pensata, e poi ci sono tantissimi bei progetti, anche a teatro. Ma andando oltre non lo vedo più un futuro».
C’è stato un momento, però, in cui ha pensato di poter dare il suo contributo. È stata assessore alla Cultura nella giunta Stancanelli.
«Parlo così proprio per questo. Ho fatto, ho dato, non vedo la via di fuga. La prossima mossa è tirarsi fuori».
Il suo allestimento degli Acroliti campeggia in piazzetta Sicilia. Secondo lei abbiamo sfruttato bene l’occasione offerta da Expo? Siamo riusciti a mettere in mostra le nostre eccellenze?
«È stata un’enorme occasione mancata. A marzo avevo espresso le mie perplessità, anche perché io risulterei sponsor di Expo. Mi avevano chiesto come si poteva fare per creare una rete di distribuzione delle 600 aziende partecipanti, di relazione tra loro, di scambi… ma i tempi erano davvero stretti. Si sarebbe potuto fare qualcosa di buono, peccato».
Torniamo alla moda. Qualche consiglio alle donne: cosa non deve mancare nei loro outfit?
«Al primo posto metterei un ventaglio, magari un bellissimo ventaglio del maestro Giammona dipinto a doppia faccia, con effetto sorpresa: da una parte c’è Turiddu, dall’atra Lola. Al secondo posto una stola di chiffon che può fungere da pareo, da coprispalle o da accessorio ipercolorato. E poi un bellissimo gioiello di corallo, che resta per tutta la vita».
Cosa evitare?
«I tacchi vertiginosi per chi non li sa portare. Meglio indossare un paio di sneaker che dondolare su un tacco 15, è una questione di stile».