PALERMO – Nell’agosto del 1993, dopo le stragi mafiose di Roma e Milano, i Servizi segreti militari inviarono una nota riservata al Ministero dell’Interno dell’epoca, al Ministero della Difesa, al Sisde e ai vertici di Carabinieri e Finanza in cui parlavano di “alto rischio di attentati” nei confronti dell’allora Presidente della Camera, Giorgio Napolitano, e dell’allora Presidente del Senato Giovanni Spadolini. La nota è stata depositata oggi pomeriggio dai magistrati della Procura di Palermo agli atti del processo per la trattativa tra Stato e mafia. La Dda ha acquisito, in particolare, alcuni atti che sono stati mandati nel 2002 dal Cesis all’ex pm Gabriele Chelazzi, il magistrato di Firenze morto pochi anni dopo. Si tratta di alcune note riservate dei Servizi segreti militari.
La prima è del 29 luglio del 1993 ed è una nota interna del Sismi in cui si dà atto di una fonte, di cui non viene rivelato il nome, che avrebbe avuto conoscenza e avrebbe riferito agli 007 del “rischio concreto di un attentato nel periodo che va dal 15 al 20 agosto del 1993” e che avrebbe riguardato una personalità politica “di rilievo” facendo i nomi di Spadolini e di Napolitano, che all’epoca erano rispettivamente Presidente del Senato e della Camera.
Il 4 agosto del 1993 il Sismi trasmette la nota sul rischio attentati a Spadolini e Napolitano al gabinetto del Viminale, il cui ministro era Nicola Mancino, imputato del processo per la trattativa, al gabinetto della Difesa, al Comando generale dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, al Sisde. Ci sono poi altri scambi di atti ma, secondo la Procura, la cosa più significativa è una nota, sempre interna del Sismi, che a fine agosto del 1993, in cui si dice che ci sono stati altri riscontri all’attendibilità della fonte e che “l’innalzamento dei livelli di protezione ha impedito il verificarsi degli attentati” a Spadolini e Napolitano.
Le note del Servizio, depositate al processo, seguono le bombe di Firenze, Milano e Roma. Nella Capitale la mafia, il 28 luglio 1993, fa attentati nelle chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano. I pm stanno cercando di capire se ci sia un nesso tra i luoghi di culto scelti, che portano il nome di San Giorgio e San Giovanni, e il progetto attentati a Napolitano e Spadolini.
Gli allarmi del Sismi, secondo la Procura di Palermo si intersecano anche con la riunione del 6 agosto del 1993 convocata dal Cesis, subito dopo le stragi mafiose di Roma e Milano, alla quale partecipano tutti i rappresentanti delle forze dell’ordine, ma anche della Dia, dei Servizi segreti e persino del Dap. Tutti gli scambi sono proprio a cavallo delle note del Sismi. Al termine della riunione si fa un documento di lettura sulle possibili matrici delle bombe del ‘93 in cui si parla della possibile “riconducibilità alle bombe di Cosa nostra” ma si parla anche di altre ipotesi, dal terrorismo internazionale, palestinese, e pure della pista anarchica.
Pochi giorni dopo, cioè il 10 agosto del 1993, c’è un’informativa a firma unica della Dia, in cui per la prima volta, in maniera chiarissima viene descritto lo scenario in cui maturarono le bombe del 1993, cioè scompare, in altre parole, il riferimento al terrorismo internazionale e agli anarchici. Si dice che le bombe del ‘93 non solo erano bombe di mafia ma, soprattutto, bombe che avevano l’obiettivo a “intavolare un dialogo con le istituzioni per il 41 bis”. Da lì a poco, Antonio Manganelli, che allora dirigeva lo Sco, fa un’ulteriore annotazione in cui conferma la nota del 10 agosto di Gianni De Gennaro della Dia, ma la avvalora affermando che l’ipotesi è confermata da una fonte dello Sco. Per la Procura di Palermo, che rappresenta l’accusa nel processo per la trattativa, quello del ‘93 è un periodo cruciale, perché nel novembre di quell’anno c’è la vicenda sulla mancata proroga del 41 bis, il carcere duro, per centinaia di boss mafiosi.