Guido Bertolaso, ormai certo di aver chiarito il “giallo della barchetta”, sovrintenderà alla “fase 2,5-3” in Sicilia «col compenso di un euro», come tiene a precisare il governatore Nello Musumeci. Il cuore pulsante del «protocollo per ripartire in sicurezza» è l’app Sicilia SiCura. La quale, scandisce l’assessore alla Salute, Ruggero Razza, «costa poche decine di migliaia di euro e costituisce una sorta di upgrade di quella utilizzata da chi è rientrato in Sicilia nella fase acuta della pandemia».
In effetti martedì è tramontata l’era dell’applicazione con cui la Regione ha gestito il controesodo dei siciliani dall’Italia e dal mondo. Disabilitato il form di registrazione, Sicilia SiCura da ieri non è più disponibile sui principali app store. Sul web però c’è ancora traccia della paternità: è legata a siciliacoronavirus.it, dominio che risulta registrato da Salvatore Favitta. Chi è costui? Un dipendente del Policlinico di Catania, responsabile scientifico di “Acquisizione e implementazione sito web costruiresalute.it”. Si tratta di un «Progetto obiettivo», con fondi Psn 2014 (148.719 euro), in cui l’assessorato alla Salute nel 2017 individuò il Centro servizi dell’azienda ospedaliera etnea come capofila. CostruireSalute, oggi, è il portale-ammiraglia dell’assessorato, che ha molto investito su uno strumento con lo slogan «le persone prima di tutto». Nei giorni più caldi dell’emergenza, il 98% dei siciliani, secondo la rilevazione di Noto Sondaggi commissionata da Palazzo d’Orléans, giudicava «utili» o «parzialmente utili» le informazioni sul coronavirus presenti sul sito.
La versione primordiale di Sicilia SiCura viene archiviata quasi a costo zero per la Regione. Anche perché, oltre alle poche unità interne attive nell’help desk, l’app rientrava in un rapporto già in corso fra la Protezione civile siciliana e Ies Solutions, azienda di Itc con sedi a Roma, Catania e Oxford. Un partner tecnologico del dipartimento, che dal 2017 ha lanciato “Gecos” (Gestione emergenze e comunicazione Sicilia), una piattaforma che «include il software, le App, le infrastrutture di rete fissa, mobile e satellitare, le infrastrutture di Data Center remoto e l’allestimento delle sala operative con sistemi di videocomunicazione, video wall e smartphone». Una potenza digitale implementata da Tim, assieme ad altri big: oltre alla stessa Ies Solutions, alcuni test «ad alto contenuto sperimentale e innovativo» sono stati effettuati con Huawei, G&G ed Eutelsat.
In questo contesto nasce (e adesso muore) la “vecchia” Sicilia SiCura. Un’app con cui la Regione ha gestito – utilizzando risorse umane e tecnologiche in house – la fase più delicata della pandemia. Un contributo importante al contenimento dei contagi di questi mesi. Il che contraddice, nei fatti, il giudizio espresso da Matteo G. P. Flora, docente universitario a contratto di Corporate reputation e fondatore di The Fool, società leader di reputazione digitale: «L’app della Regione Siciliana per il tracing Gps è perfettamente inutile», scrive l’esperto nel suo blog. Ignorando però che Sicilia SiCura non ha mai avuto lo scopo del tracciamento. «Non si tratta di “falle da correggere”, ma proprio di aver scelto una serie di tecnologie che a monte non possono minimamente garantire un risultato affidabile», chiosa Flora.
Ma adesso è un’altra storia. E lo ammette lo stesso Bertolaso in conferenza stampa. «Quest’app è stata semplicemente modificata: da 30mila utenti al 27 di maggio a quello che potranno essere i 3-4 milioni di utenti i primi di luglio».
L’ex capo della Protezione civile dà un’informazione vera. Tranne su un numero: su Sicilia SiCura, fino alla rottamazione di martedì, risultano registrati circa 85mila utenti. Bertolaso, annunciando il via per il 1° luglio, non rivela chi si occuperà della nuova app. «Stiamo parlando – si limita a dire – di due mondi completamente diversi: due piattaforme tecnologiche diverse e un lavoro di struttura estremamente complicato». Domani alle 10,30 – apprende La Sicilia – è prevista una videoconferenza per il passaggio di consegne.
Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. «A gestire i dati finali trasmessi dalla app, da venerdì prossimo, e tutta la parte legata alla telemedicina, quindi quella che si può definire la centrale operativa, è l’Irccs Bonino Pulejo di Messina», scrive l’Ansa martedì sera. L’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico è un’eccellenza nazionale nelle neuroscienze. Ed è proprio il Centro Neurolesi che, «in questo momento di grande difficoltà legata all’emergenza Covid», lo scorso 6 maggio, scrive all’assessore Razza perché «desidera mettere a disposizione» della Regione un progetto di ricerca: “TeleCovid Sicilia”, con «un modello di supporto domiciliare attraverso la telemedicina e l’utilizzo di dispositivi per la teleassistenza di soggetti colpiti dal virus». La proposta reca la firma dei vertici del “Bonino Pulejo”: il direttore generale, Vincenzo Barone, e il direttore scientifico Placido Bramanti. Quest’ultimo è più noto come Dino, candidato sindaco del centrodestra a Messina nel 2018. Da esponente ufficiale della coalizione, fu appoggiato in prima persona da Nello Musumeci. Che, comiziando per lui, definì la candidatura «un atto d’amore al capezzale di una madre malata, Messina, una madre malata di carestia d’amore». Non andò bene: i messinesi scelsero la cura di Cateno De Luca. E Bramanti tornò al suo lavoro di sempre. Non prima di sancire, alla vigilia di ferragosto del 2018, il suo passaggio alla Lega. Con una cena a Furci Siculo, con Matteo Salvini in persona, coccolato, fra i tanti, dai due mancati assessori Matteo Francilia, padrone di casa, e Fabio Cantarella. Un evento conviviale che diventò un caso nazionale perché consumato in contemporanea alla tragedia del ponte Morandi di Genova. Ma con un forte valore politico per Messina: la lista civica di Bramanti, in consiglio comunale, sarebbe poi diventata gruppo della Lega.
Adesso il “Bonino Pulejo” di Bramanti sbandiera un «accordo» da partner della Regione in Sicilia SiCura seconda parte.
In effetti il progetto dell’Istituto è stato accolto per l’«attivazione di un sistema di telemedicina per la teleassistenza ed il telemonitoraggio dei pazienti affetti da Covid 19 o sospetti tali». Con decreto dell’assessore Razza, il n. 381 del 7 maggio 2020 (l’indomani della proposta), prendendo atto che «le risorse necessarie al progetto sono a carico dell’Irccs e rientrano nella linea di ricerca corrente finanziata dal Ministero della Salute» (in tutto 91 milioni di euro, stanziati dall’ex ministro alla Salute, Beatrice Lorenzin) si stabilisce di «riconoscere» al “Bonino Pulejo” «la somma pari a 801.296 per acquisto attrezzature».
In serata arriva una nota dell’assessorato alla Salute: «Non esiste alcuna correlazione fra il progetto di telemedicina, che attualmente si occupa anche di Covid-19, a cura del Bonino Pulejo e la nuova applicazione digitale SiciliaSiCura presentata stamani (ieri per chi legge, ndr), adoperata per monitorare i flussi turistici nell’Isola in vista della prossima estate». E l’assessore Razza, sentito da La Sicilia, rafforza il concetto: l’app «che contribuirà a risollevare il Pil siciliano per centinaia di milioni nel turismo», costerà «non più di 30-40mila euro» e il decreto (non revocato) con cui si finanzia il progetto del “Bonino Pulejo” «autorizza l’eventuale spesa di una somma che non sarà effettivamente erogata in quanto legata a esigenze di un’emergenza che non c’è più», un costo che «in ogni caso sarebbe stato sottoposto a negoziazione, come scritto nello stesso decreto, commisurata all’effettiva spesa sostenuta». In sintesi: il governo Musumeci dice che la nuova app Sicilia SiCura non c’entra nulla con il progetto del “Bonino Pulejo”, mettendo più che in dubbio l’effettivo finanziamento della Regione.
In ogni caso, la cifra (801.296 euro) corrisponde a quella chiesta dal Centro Neurolesi anche nelle 56 pagine in cui allega il dettagliato progetto “TeleCovid Sicilia”, «immediatamente operativo in considerazione che presso l’Irccs è già presente una centrale operativa in possesso dei requisiti tecnologici e di risorse umane necessarie all’attuazione, già utilizzata per altre progettualità passate». L’importo complessivo è alto: 3.404.642 euro, di cui 653.346 di «costi sostenuti», soprattutto per fornitura di servizi hi-tech (493.626 euro), compresi 1.086 tablet “Huawey T5”, 1.600 pulsossimetri e 330 sfigmomanometri. Nei «costi da sostenere» riecco gli 801.296 euro chiesti alla Regione, che coprirebbero in parte l’onere più pesante: 1.950.000 euro di personale; 50 unità a 39mila euro l’una.
C’è un piccolo giallo sul lancio d’Ansa con l’esternazione del “Bonino Pulejo” sulla vicenda. Nella versione sul sito regionale dell’agenzia (verificata fino a ieri sera) a esprimersi sul contenuto tecnico del progetto sono «i tecnici della società che ha sviluppato la soluzione tecnologica». Nella versione in rete martedì un lungo virgolettato è invece attribuito ad Alessia Bramanti, «ingegnere di “Dedalus” società che ha sviluppato la soluzione tecnologica». La professionista è la figlia di Dino, una ricercatrice dal curriculum di altissimo livello nonostante sia under 40. Con gli identici dati anagrafici dell’Alessia Bramanti candidata con la lista “Bramanti Sindaco per Messina” alla IV circoscrizione nel 2018, non eletta con i suoi 56 voti.
Ma anche Dedalus, società in cui Bramanti Jr. risulta al lavoro dal gennaio scorso, ha un suo perché. Trattasi di Dedalus Healthcare Systems Group, al top in Europa su software e sistemi informatici sanitari. Definita «società dell’amico di Matteo Renzi», nel 2017, da Andrea Quartini, consigliere regionale toscano del M5S. Il riferimento è ad Andrea Moretti, titolare di Dedalus, fra i finanziatori ufficiali del leader di Italia Viva, dopo essere stato ex presidente a titolo gratuito di Quadrifoglio Spa (municipalizzata dei rifiuti fiorentini), sotto inchiesta per gestione illecita di rifiuti e violazione delle norme sulla tracciabilità, e pure presidente di Q-Thermo, l’azienda che propone l’inceneritore di Firenze. Ma il grillino parlante, tre anni fa, non poteva immaginare che la stessa Dedalus sarebbe diventata «main partner» dell’ultima ricerca della Casaleggio Associati sulle «imprese intelligenti». In pratica: uno sponsor di Davide Casaleggio, guru, per eredità dinastica, del M5S.
Nomen omen. Un dedalo, questa storia. Una società (dell’amico di Renzi, ma sponsor di Casaleggio) che assume la figlia di Bramanti, ora con Salvini, e che chiede – ma, secondo Razza, non avrà – 800mila euro alla Regione per un progetto di cui dichiara di gestire i dati dell’app coordinata da Bertolaso, «a un euro, dormendo in barca», per conto di Musumeci.
Branduardi ci scriverebbe una nuova versione di Alla fiera dell’Est. Se non si confondesse pure lui.