Catania – ”Torniamo a casa”. Si, la casa, la casa quasi come utero materno, ventre creativo, calore ancestrale, condizione dell’anima. Ovunque sia. E’ questo il viaggio che Giuseppe Lazzaro Danzuso compie in “Ritorno all’Amarina”. Non a caso in copertina c’è un’emblematica foto di tre uomini in macchina, un’auto d’epoca di quelle che chi è di una certa generazione ha visto solo nelle vecchie foto dei genitori da giovani. Tre uomini che sembrano pronti a partire, verso il futuro delle foto a colori forse, per una generazione appunto che, come scrive l’autore, è passata ”dalla preistoria alla fantascienza”. Ma ”preistoria e fantascienza”, per gli italiani, non possono prescindere dal legame con la propria terra che, nel caso di Danzuso è la Sicilia, o meglio Catania, o meglio appunto quell’Amarina del titolo dove si trovava la casa in cui il protagonista del libro trascorre la sua infanzia.
Un’infanzia in bianco e nero ma dai colori e dai sapori intensi che l’autore ci rimanda attraverso l’uso della lingua, il siciliano che si intreccia anche con altri dialetti come il friulano e il lombardo. La lingua è sostanza della memoria in un romanzo che muove dal grigiore freddo di Monte Porzio Catone, cittadina alle porte del caos di Roma, quasi simbolo anche qui di un presente che il protagonista guarda dall’alto di una grande terrazza ma che è divenuto inesorabilmente incolore. La nascita della figlia forse, dopo aver archiviato un primo matrimonio e un altro figlio oramai cresciuto, lo porta alla consapevolezza del voler guardare al futuro restituendo colore alla sua vita. ”Un poco ci somiglia mia figlia, a mio padre. () Ma quella un poco a tutti somiglia. Per davvero! A sua madre, a me, a suo fratello, a tutti i suoi nonni, agli zii, puru a quelli che non sono di sangue. E puru ci ha una faccia tutta sua, bellissima. A me mi pare un mistero grande, questa cosa dell’assimigghianza. Ma, come sempre quando mi capita un mistero, non è che cerco di capirlo per forza, me lo prendo come è”.
E allora, da quella terrazza, il protagonista inizia a sfogliare l’album delle istantanee che hanno dato corpo alla sua anima. Ci troviamo personaggi di grande intensità drammatica, quasi teatrali, archetipi della cultura familiare condivisa, dalla Sicilia alla Pianura Padana. Contadini scavati dalla saggezza che trascende la cultura, donne dalla furbizia o dall’ingenuità disarmanti, zii dai comportamenti rituali che rimangono nelle storie tramandate, uomini buoni, padri che ancora affondavano nella terra dei principi. ”Torniamo a casa” allora, ovunque sia.