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L’Etna e i segreti dei “terremoti silenti” «Ecco cosa accade fra Acitrezza e Giarre»

L’Etna e i segreti dei “terremoti silenti” «Ecco cosa accade fra Acitrezza e Giarre»

L’Ingv: «Anomalo flusso di gas e variazioni nelle falde acquifere: si deformano strade e case»

Di Alfio Di Marco |

CATANIA – Spessi muri di cinta che si spezzano come biscotti, arterie urbane ed extraurbane che si squarciano, interi edifici che si fratturano in più punti: sono gli effetti di quelli che la letteratura scientifica definisce “terremoti silenti” (”Slow slip Events”), o anche “terremoti lenti”, che interessano un’ampia porzione del versante orientale dell’Etna e che non pochi problemi creano agli abitanti delle aree urbane colpite. Fenomeni noti da tempo, ma su cui un approfondito studio di recente pubblicato sulla rivista americana Geochemistry, Geophysics, Geosystems fa nuova luce, svelandone le cause profonde e le dinamiche.   La ricerca è firmata da ben 15 studiosi dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) di Catania e Palermo e dell’Università di Catania (Mario Mattia, Valentina Bruno, Tommaso Caltabiano, Andrea Cannata, Flavio Cannavò, Walter D’Alessandro, Giuseppe di Grazia, Cinzia Federico, Salvatore Giammanco, Alessandro La Spina, Marco Liuzzo, Manfredi Longo, Carmelo Monaco, Domenico Patanè e Giuseppe Salerno). Una ricerca che prende le mosse dai singolari eventi che si sono verificati tra il 2008 e il 2013 sul versante orientale del vulcano.   Ad oggi, questi fenomeni erano stati osservati, in ambito vulcanico, solo nella struttura dell’hawaiano Kilauea e dunque questa scoperta rappresenta una assoluta novità per quanto riguarda il gigante siciliano. «Il versante orientale dell’Etna – spiega Mario Mattia, primo tecnologo dell’Ingv di Catania – è tipicamente interessato da lenti e costanti movimenti in direzione Est, ovvero verso il mare. Quello che abbiamo osservato grazie alla rete Gps permanente dell’Ingv di Catania è che, in alcuni periodi, questo movimento subisce delle vere e proprie accelerazioni che durano da pochi giorni a un paio di mesi».   «L’area interessata è la fascia litoranea che va da Acitrezza a Giarre; ma si tratta di fenomeni che abbiamo riscontrato pure in tutta la zona a est della Timpa di Acireale e dunque anche a Sant’Alfio, a Pozzillo, a Santa Tecla e a San Leonardello. In queste zone la presenza di danni a edifici, strade e manufatti vari è ben nota da molto tempo. E la causa di tali problemi è proprio legata a questi movimenti e alle loro periodiche accelerazioni».   «Come si ricorderà – continua Mattia – nel 2009 a causa di una di queste accelerazioni alcune case sulla collina di Acitrezza sono state evacuate perché improvvisamente si erano aperte crepe sui muri, mentre pavimenti e piastrelle saltavano come spinti da una forza misteriosa. Ora sappiamo cosa è successo in quella e in altre occasioni simili: abbiamo individuato i meccanismi che determinano questi lenti, inesorabili movimenti del terreno».   Cos’è che li genera? «Quello che abbiamo osservato durante questi periodi di accelerazione – spiegano Giuseppe Salerno e Salvo Giammanco, ricercatori dell’Ingv di Catania -, è un anomalo flusso di fluidi di origine vulcanica (misurati dalle nostre stazioni di monitoraggio dei gas) emessi sia dai crateri dell’Etna, sia diffusi attraverso i suoli del versante orientale della Montagna».   «Questi flussi anomali di gas sono accompagnati da variazioni nei livelli delle falde acquifere e da concomitanti variazioni della loro circolazione – aggiunge Cinzia Federico dell’Ingv di Palermo -. Quando questo accade, l’intero edificio vulcanico è sottoposto a deformazioni che influenzano i grandi flussi di acqua che alimentano le falde profonde. A loro volta, queste acque rappresentano un motivo di instabilità a livello più superficiale».   «I fluidi si propagano facilmente all’interno del versante orientale etneo a causa delle tante faglie che ne tagliano la struttura – prosegue Carmelo Monaco dell’Università di Catania – e così facendo indeboliscono le caratteristiche geotecniche dei terreni del basamento, innescando dunque le accelerazioni del suolo. I movimenti si concentrano in particolare lungo ben note discontinuità, quale per esempio la faglia che scende da Trecastagni verso Acitrezza attraverso San Giovanni la Punta, San Gregorio e Ficarazzi, dando luogo a una serie di blocchi che noi definiamo “a comportamento dinamico differente”. E’ anche abbastanza facile seguire questo allineamento perché molte sono le case e le strade danneggiate che si trovano nei pressi o addirittura sopra questa faglia».   Ma perché questi fenomeni sono chiamati “terremoti silenti”? «Alcuni li chiamano così, altri li chiamano ‘terremoti lenti’ e il perché è presto detto. Le deformazioni del suolo che questi fenomeni inducono sono confrontabili con quelle provocate dai terremoti, solo che avvengono in tempi lunghi e dunque senza la propagazione di pericolose onde telluriche che sono invece legate all’improvvisa rottura che si verifica lungo le faglie durante i sismi veri e propri», spiega il sismologo e dirigente dell’Ingv di Catania Domenico Patanè.   Decine, come si è accennato, le famiglie che in questi anni si sono dovute confrontare con tali fenomeni, affrontando disagi e costi non indifferenti per la sicurezza delle loro abitazioni. Ma cosa si può fare per limitare gli effetti dei “terremoti silenti”? «L’Etna è un vulcano attivo e noi ci viviamo sopra – taglia corto Mario Mattia -; i terremoti silenti rientrano tra i fenomeni che fanno parte dell’insieme di ‘fattori di pericolosità’ legati all’antropizzazione di un’area a rischio. L’unica soluzione, a costo di essere ripetitivi, è la corretta pianificazione urbanistica. Le aree soggette a danneggiamento sul versante orientale dell’Etna sono ben note e tuttavia poco o nulla si fa per impedire la realizzazione di nuove infrastrutture o edifici sopra o nei pressi di questi lineamenti. Che inevitabilmente, nel tempo, saranno sempre soggetti a movimenti di assestamento».

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