Chissà cosa avrebbe scritto Leonardo Sciascia, corrosivo com’era, sulla Repubblica del bunga bunga e sul berlusconismo, quel mix di arroganza, sfrontatezza, spregiudicata visione di sé e degli altri, insomma l’esaltazione dei vizi dell’arcitaliano. Chissà cosa avrebbe detto, divisivo com’era, sul grillismo nato in piazza con i vagiti di ben calibrati vaffa e ammosciatosi sulla via dei Palazzi, tra alleanze spericolate, gelosie interne, equilibrismi che neanche la Dc. Chissà come avrebbe commentato, polemista com’era, la deriva sovranista della destra europea, declinata in Italia dal populismo salviniano.
Chissà come avrebbe reagito Leonardo Sciascia, civilmente impegnato com’era, di fronte all’apocalisse dei diritti tra le sponde del Mediterraneo. Chissà quale inarrivabile pamphlet avrebbe licenziato, arguto com’era, sui veri professionisti dell’antimafia, quelli adesso venuti fuori tra intrighi, affari e processi e non quelli da lui stesso tratteggiati nel 1987 sul Corriere della Sera nel controverso e dirompente, tanto da essere ancora oggi vivisezionato, articolo di denuncia. Chissà quante lacrime avrebbe versato, sensibile ai temi della giustizia com’era, tra Capaci e via D’Amelio, magari dopo avere chiarito definitivamente il senso di quello stesso articolo sull’antimafia.
Chissà quante volte, cercando un ragionamento sul tempo che viviamo, avremmo voluto e vorremmo uno Sciascia. Per capire, per riflettere, magari per restare di un’altra idea. Chissà quante volte ancora ci diremo orgogliosi di averlo avuto sulle nostre pagine. Chissà quando la Sicilia e l’Italia avranno un altro Sciascia. Chissà, soprattutto, se questa Sicilia e questa Italia un altro Sciascia vorranno ascoltarlo.