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Legumi di Sicilia “gioielli” di qualità

Di Carmen Greco |

Gioielli piccolissimi, ma gioielli. La riscoperta dei legumi di Sicilia è cosa relativamente recente, non più di 10-15 anni. Nel 2007 secondo il Consorzio di ricerca Gian Pietro Ballatore di Palermo c’erano 50mila ettari coltivati a fava, 10mila per il fagiolo e 1.800 per la lenticchia. Oggi, dopo dieci anni di globalizzazione selvaggia, le colture siciliane si sono ulteriormente contratte (su tutto il territorio siciliano si contano circa 24.000 ettari coltivati a legumi) ma gli agricoltori “illuminati” hanno deciso – in primis per sopravvivere – di seguire la linea della qualità, l’unica strada per entrare in quella nicchia di mercato che privilegia la storia della nostra cultura agricola e che apre vere prospettive di futuro per fave, lenticchie e fagioli “made in Sicily”. «Certo, siamo Davide contro Golia – osserva il produttore Luca Parano di Leonforte – non possiamo competere con le multinazionali del Canada e del Messico che contano su estensioni infinite e pianeggianti per coltivare e soprattutto praticano trattamenti (leggasi glifosato e veleni vari) che noi non possiamo, nè vogliamo fare, intanto perché Italia e Ue li vietano, poi perché non è la nostra filosofia». Parano è proprio uno di questi agricoltori “illuminati” che, quindici anni fa, ha deciso di diversificare la produzione di pesche di Leonforte igp, must dell’azienda di famiglia, recuperando la coltivazione della “lenticchia nera” e della “fava larga”, due presidi Slow Food (tre con le pesche tardive igp).

Quando parla dei “suoi” legumi gli si illuminano gli occhi. «Sono ottimi – descrive – sotto tutti i punti di vista, organolettico, nutrizionale, tengono benissimo la cottura, hanno un gusto unico. La lenticchia nera è una pianta nana e tutte le fasi della lavorazione, dalla raccolta alla pulitura, devono essere fatte necessariamente a mano. E’ un prodotto che non subisce alcun tipo di trattamento, non viene lavorato da macchinari, è tutto fatto dall’uomo».

La lenticchia nera di Leonforte presidio Slow Food

Anche per questo un chilo di lenticchia nera di Leonforte costa 20 euro al kg rispetto alla lenticchia classica del Canada che di euro al chilo ne costa appena 2. Un abisso, ma soprattutto un abisso qualitativo se si pensa, un dato su tutti, che le lenticchie nere hanno il 36% di ferro in più rispetto alle lenticchie comunemente commercializzate. Una caratteristica che, oggi, i consumatori hanno cominciato ad apprezzare. «Assolutamente sì – conferma Parano – la gente lo sa e vuole la nostra lenticchia pur essendo molto più cara. Io faccio parte del circuito di Campagna Amica (i mercatini a km zero di Coldiretti ndr) e ho difficoltà a coprire la richiesta. Non ho il tempo di pulirla, la richiesta è più alta dell’offerta. Ma la lenticchia nera non è l’unica eccellenza, a Villalba, per esempio coltivano un’altra bellissima varietà. Noi produttori abbiamo cominciato a capire che queste coltivazioni andavano recuperate e rilanciate quando siamo stati invasi da tutte le produzioni estere a bassissimo costo e a bassissima qualità. La Val Dittaino, parlo per il mio territorio, era il granaio dei Romani e finalmente qui gli agricoltori hanno capito che bisognava puntare sulla qualità dei prodotti autoctoni siciliani. Io non pianto il cece grosso californiano, coltivo due varietà autoctone, il “cece sultano” e il “cece pascià” due autentici prìncipi della nostra agricoltura e mi augurerei della nostra alimentazione».

A “schiacciare” da un punto di vista commerciale le produzioni di legumi siciliani sono Canada ed Egitto con le fave, Messico con i fagioli, la California con produzioni di ceci, anche se meno massicce. Di fatto, nei supermercati siciliani è raro trovare i legumi autoctoni, a meno che non ci siano delle aree dedicate alle produzioni di nicchia.

«Negli Anni Settanta – ricorda parano – la lenticchia nera si stava perdendo e qui a Leonforte, un unico produttore ne ha preservato il seme dall’estinzione. E’ grazie a lui se la lenticchia nera oggi esiste ancora, e nell’area ennese siamo in 7-8 a coltivarla. Io ci credo, e ci credo tanto. Ci stiamo lavorando molto sul cibo buono e pulito. Coinvolgo i miei vicini a fare lo stesso, li invito a non abbandonare i terreni, a non lasciarli incolti, a prediligere i prodotti ricercati come la fava larga e le lenticchie nere. Sono pronto ad aiutarli a commercializzare questi prodotti. Per me i legumi siciliani hanno un grande futuro e questa convinzione mi viene anche dal riscontro con le persone con le quali parlo nei mercati. La gente sta imparando a capire, c’è molta più attenzione, chi ha la possibilità di comprare i nostri legumi, anche se mi rendo conto che non sono accessibili a tutti, lo fa con molta curiosità e competenza. Vuole sapere come vengono prodotti, che trattamenti sono stati fatti sul terreno, che caratteristiche hanno da un punto di vista nutrizionale, come si cucinano. Io non mi stanco mai di raccontare la storia di questi prodotti, la manualità che c’è dietro, le tecniche di coltivazione che sono quelle tradizionali anche se oggi incontrano la tecnologia. Per esempio stiamo provando dei sistemi per la sterilizzazione naturale della lenticchia nera mettendola in celle frigorifere a meno 40° e ci siamo accorti che la “farfallina” non si formava più. Ecco, per me, il futuro è questo».

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