Legambiente, dossier su siti da salvare in Sicilia

Di Redazione / 08 Maggio 2018

PALERMO – Nell’ambito della campagna “Salvalarte Sicilia 2018”, è stato presentato oggi il dossier «La bella Sicilia da salvare». Nel documento sono evidenziati 12 siti di proprietà pubblica e 10 di proprietà privata «che sono abbandonati all’incuria, all’aggressione degli agenti atmosferici, al vandalismo, nel totale disinteresse delle istituzioni, Regioni e Comuni».

«Il primo sito inserito nel dossier – spiega Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia – è Villa Napoli, a Palermo, tipico esempio di totale e scellerato disinteresse da parte delle istituzioni. Questa splendida villa settecentesca è stata ceduta dalla Regione siciliana, proprietaria dell’immobile, al patrimonio dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, impedendo di fatto alla Soprintendenza di accedere ai finanziamenti per il suo recupero. E negli anni scorsi è stata posta, per il suo stato di degrado e per i ripetuti saccheggi, sotto sequestro dall’Autorità giudiziaria. Sono a Palermo, quest’anno Capitale della Cultura, i primi tre siti che occorre salvare».

Ma in ogni provincia dell’isola ci sono esempi di beni di proprietà pubblica abbandonati al degrado: a Siracusa, Enna, Trapani, Agrigento, Messina. «In questo dossier ci siamo limitati a 12, ma è soltanto un primo passo – aggiunge Legambiente -. Chiediamo che ci sia finalmente una inversione di rotta e che si salvi la bellezza dall’incuria e si custodisca la nostra memoria, i fondi per i restauri si possono trovare anche grazie ai bandi della comunità europea». «In questo nostro dossier abbiamo inserito anche 10 beni di proprietà privata. In questo caso – continua Zanna – la situazione è più complicata, in quanto la Regione dovrebbe o sollecitare i proprietari a mettere in sicurezza le strutture o provvedere ad acquistarle. Caso emblematico è il Castello Schisò, che si affaccia sulla baia di Giardini Naxos, costruito tra il XIII e il XIV secolo. Edificato nella forma attuale su uno sperone roccioso formato da una colata lavica di età preistorica. Si mira a un graduale recupero dell’edificio storico ed è inserito nel parco archeologico di Naxos. Dopo l’asta che lo ha messo in vendita ed è stato aggiudicato per 4 milioni e mezzo, la Regione deve attivare entro breve tempo la giusta e sacrosanta prelazione all’acquisto. Il Castello di Schisò sarà, sabato prossimo, una delle tappe di “Salvalarte” Sicilia»

Ed appunto nell’ambito della campagna “Salvalarte Sicilia 2018”, domenica scorsa a Catania – come raccontato dal nostro quotidiano – Legambiente ha proposto un’escursione nel cuore di via Garibaldi alla scoperta di tre monumenti archeologici sconosciuti o dimenticati. E lo ha fatto raccordandosi con altre quattro associazioni – Acquedotte, Guide turistiche, Mobilità sostenibile e Mobilita Catania – impegnate nella valorizzazione della città e di questa sua parte ricca di storia e di leggende, oltre che di beni archeologici e monumentali. Una strada, via Garibaldi, che dopo un lungo periodo di abbandono si è trasformata – per iniziativa dei privati e senza alcun progetto strategico guidato dalla politica – da zona commerciale a zona turistica.

Il tour di “Salvalarte” è cominciato da via Santa Barbara sulla cui pavimentazione è stato dipinto in rosso scuro il profilo della tricora di epoca romana che si sviluppa sotto la strada: ritrovata nel 1955, fu scavata e riportata parzialmente alla luce e, ricostituita la strada, resa visitabile attraverso una botola. Poi tappa al cortile Pantaleo, dove si apre il “Foro romano”:  
questa la definizione che, nel Settecento, ne diede il principe Ignazio Biscari sulla base dei testi di Vitruvio; nel Cinquecento lo storico Lorenzo Bolano aveva interpretato questi tanti ambienti di età augustea come delle terme, mentre per gli studiosi di oggi si tratta probabilmente di un edificio a fini commerciali composto da magazzini a servizio del vicino porto, mentre gli ambienti sotterranei erano gli alloggi degli schiavi. Infine, piazza Sant’Antonio dove, sotto palazzo Sapuppo, si aprono le terme romane scoperte da Biscari, e da lui chiamate “Bagni Sapuppo”. Le terme, poi dimenticate e inghiottite di nuovo dalla terra, furono riscoperte nel 1997 e protette con una struttura in vetro e acciaio inaugurata e subito dopo sbarrata e richiusa al pubblico.

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