Le Virtual Evidence per incastrare un assassino. Ma ci sono voluti più di 20 lunghi anni

Di Sebastiano Battiato / 06 Giugno 2018

L’investigatore (informatico), è questo il titolo che abbiamo deciso di dare a questo spazio e di cui ringrazio la redazione per la fiducia accordatami, si propone di “spiegare” prendendo spunto dai fatti di cronaca o giudiziari le potenzialità, i limiti e alcuni degli aspetti più misteriosi e perché no ambigui della tecnologia. Nelle scuole primarie si parla sempre più spesso di consapevolezza digitale; diversi sono i progetti che si pongono l’obiettivo di educare le nuove generazioni, i cosiddetti nativi digitali o millennials, ad un uso consapevole dei nuovi media e delle nuove tecnologie. D’altra parte anche noi per così dire adulti ne siamo spesso fruitori compulsivi, a volte ai limiti della patologia, immersi nei nostri smartphone, inondati dalle notifiche più disparate provenienti dai gruppi social più diversi e via discorrendo; ma siamo poi in grado di avere contezza o quantomeno consapevolezza della “tracce informatiche” che produciamo praticamente ogni istante della nostra vita? Ne riparleremo senz’altro.

Per certi versi è però possibile anche viaggiare nel tempo. Le nuove tecnologie sono in grado a volte di riportare alla luce vecchie tracce, anche analogiche, permettendo agli inquirenti di risolvere i cosiddetti “cold case”. Casi irrisolti da decenni che grazie a tali strumenti hi-tech al lavoro di illuminati investigatori e veri e propri esperti tecnici forensi vengono letteralmente “scongelati” e spesso risolti.

E’ quanto avvenuto proprio in questi giorni con il caso dell’omicidio di Valeriano Poli, un buttafuori bolognese ucciso il 5 Dicembre del 1999 con otto colpi di pistola. La Polizia ha infatti arrestato un bolognese di 59 anni, Stefano Monti, ritenuto l’autore materiale dell’omicidio, nei cui confronti è stato emesso un provvedimento di custodia cautelare in carcere. Dopo quasi 20 anni si è infatti “materializzata” una nuova prova: una macchia di sangue sugli scarponcini indossati dalla vittima, il cui profilo genetico conduce proprio a Monti. In realtà il reperto era già noto ma non era stato possibile ricondurlo con certezza al soggetto su cui gravano forti elementi indiziari. Grazie all’attività svolta dall’UDI (Unità Delitti Insoluti) della Direzione Centrale Anticrimine e composta da un gruppo di specialisti quali investigatori del Servizio Centrale Operativo ed esperti della Polizia Scientifica, è stato infatti possibile dimostrare scientificamente che il sangue presente sulle calzature di Valeriano POLI era stato lì trasmesso dall’autore del reato la sera dell’omicidio.

In particolare l’unico elemento in grado di contestualizzare temporalmente il tutto era proprio un video, ritraente il Poli e le medesime scarpe a ridosso dell’omicidio. In considerazione della ridotta qualità del video e dell’impossibilità di effettuare un esperimento giudiziale a causa del tempo trascorso, che rappresentano i tradizionali accertamenti per elaborare immagini, è stato necessario ricorrere ad una innovativa tecnica di comparazione tridimensionale denominata “Analysis of Virtual Evidence”; la scena del crimine o come in questo caso le singole evidenze, veri e propri reperti, vengono ricostruiti in maniera rigorosa e precisa in un ambiente virtuale, dove è possibile eseguire delle misure e analizzarli in maniera più completa.

Nel dettaglio in questo caso l’analisi delle immagini ha permesso di confrontare tra loro alcuni fotogrammi estratti dal video con un ambiente virtuale ricostruito in 3D, dove attraverso una scansione laser la scarpa da reperto fisico si è trasformata in una “virtual evidence” digitale. In pratica un opportuno sensore ha acquisito il reperto fisico, in questo caso lo stivaletto sequestrato a suo tempo, e ne ha creato una copia digitale tridimensionale. Gli accertamenti successivi hanno evidenziato una perfetta sovrapposizione tra il reperto costituito dallo stivaletto ma nello scenario virtuale e le immagini registrate, e ciò ha consentito di determinare con assoluta certezza che “sulle scarpe riprese nel video non erano presenti le macchie di sangue riscontrate il giorno dell’omicidio.” Ecco il video pubblicato proprio dalla Polizia di Stato che ne documenta gli aspetti più significativi:

L’utilizzo delle “virtual evidence” viene applicato con successo anche nella comparazione antropometrica di soggetti. Si pensi al caso in cui risulta necessario analizzare le immagini acquisite da sistemi di videosorveglianza dove i volti e le fattezze dei soggetti inquadrati non sempre sono risolutive come ci si aspetterebbe, rispetto a potenziali indiziati. In tale ambiente virtuale l’avatar 3D di tali soggetti può invece essere analizzato riproducendone le corretta posa, il punto di vista della camera e tutto ciò che ne consegue, permettendo agli investigatori di eseguire una analisi molto più precisa e accurata. La prova scientifica diventa sempre più hi-tech e il futuro distopico di “Black-Mirror”, giusto per citare una serie cult del genere, potrebbe poi non essere così lontano.

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Redazione
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